Italia e Danimarca chiedono in maniera congiunta l’apertura di un dibattito a livello europeo sul futuro delle convenzioni continentali in materia di migrazione. Lo hanno annunciato insieme, al termine di un incontro a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la premier danese Mette Frederiksen. Giorgia Meloni, durante le dichiarazioni alla stampa con la sua omologa di Copenaghen, ha spiegato come i due governi si siano confrontati su un dossier che li vede entrambi particolarmente impegnati, ovvero, il tema migratorio. Roma e Copenaghen vogliono aprire un confronto politico in Europa su alcune convenzioni UE che vincolano gli Stati membri e chiedere se, a distanza di decenni dalla loro stesura, esse rappresentino ancora degli strumenti efficaci per affrontare le grandi questioni del nostro tempo.
A tale scopo, ha affermato la premier Meloni, è stata sottoscritta una lettera congiunta da parte di diversi Paesi europei, fra i quali Austria, Belgio, Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia e Repubblica Ceca, oltre che Italia e Danimarca, Nazioni promotrici e capofila dell’iniziativa. La lettera inizia con la sottolineatura della convinzione di tutti i governi firmatari nei valori comuni europei, nello Stato di diritto e nei diritti umani. Viene rimarcato l’impegno a favore di un ordine internazionale basato sulle regole. Gli autori della missiva credono profondamente nella inviolabile dignità dell’individuo e nel ruolo delle Istituzioni multilaterali, ONU, UE e NATO.
I presidenti e primi ministri europei che hanno firmato la lettera, si affermano come leader di società che tutelano i diritti umani, pilastri, con altri valori, dei sistemi democratici d’Europa e occidentali. Condividono inoltre un forte senso di impegno nei confronti dei loro rispettivi Paesi e sentono una grande responsabilità per le loro società e opinioni pubbliche. Appartengono a famiglie politiche diverse e provengono da tradizioni diverse, tuttavia, concordano sulla necessità di avviare una discussione su come le convenzioni internazionali possano affrontare le sfide odierne. Ciò che una volta era giusto potrebbe non essere la risposta di domani. Il mondo è cambiato da quando molte delle idee delle democrazie europee sono state concepite sulle ceneri delle grandi guerre. Il rispetto per i diritti umani è universale ed eterno, ma il mondo globalizzato di oggi è un luogo in cui le persone migrano attraverso i confini su una scala completamente diversa. Negli ultimi decenni, viene spiegato ancora nella lettera promossa da Italia e Danimarca, l’immigrazione irregolare ha contribuito in modo significativo ai flussi migratori in Europa.
I Paesi firmatari riconoscono senz’altro come molti siano arrivati nel Vecchio Continente tramite percorsi legali, imparando le nostre lingue, credendo nella democrazia, contribuendo alle nostre società e decidendo di integrarsi nella nostra cultura. Ma altri sono arrivati e hanno scelto di non integrarsi, isolandosi in società parallele e prendendo le distanze dai nostri valori fondamentali di uguaglianza, democrazia e libertà. In particolare, alcuni non hanno contribuito positivamente alle società che li hanno accolti e hanno scelto di commettere reati. È incomprensibile, per Italia, Danimarca e gli altri sottoscrittori dell’appello, come alcune persone possano venire nei nostri Paesi e condividere la nostra libertà e la nostra vasta gamma di opportunità, e decidere di commettere reati, dei quali, aggiungiamo noi, si guarderebbero bene dal divenire responsabili nei loro luoghi di origine.
Ciò riguarda solo una minoranza di immigrati, ma rischia di minare le fondamenta stesse delle nostre società. Danneggia la fiducia tra i cittadini e quella nelle Istituzioni. Fortunatamente, prosegue il testo firmato da Roma e da altre otto capitali UE, in alcuni settori i governi europei si stanno muovendo nella giusta direzione, inasprendo le politiche nazionali in materia di immigrazione irregolare. La maggior parte degli Stati membri della UE, anche con un mutato atteggiamento della Commissione, è pronta a valutare nuove soluzioni alle sfide che l’Europa deve affrontare in tema di immigrazione. Vi è tuttavia ancora molto da fare prima che l’Europa riprenda il controllo sulla immigrazione irregolare e a tal proposito, dice la lettera sponsorizzata da Giorgia Meloni, si crede che sia necessario analizzare come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia sviluppato la sua interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, (Cedu). È importante valutare se, in alcuni casi, la Corte abbia esteso eccessivamente la portata della Convenzione rispetto alle intenzioni originarie, alterando così l’equilibrio tra gli interessi da tutelare.
La premier Meloni e gli altri otto suoi omologhi, ritengono che l’evoluzione della interpretazione della Corte abbia, in alcuni casi, limitato la capacità delle Nazioni UE di prendere decisioni politiche al loro interno, e, di conseguenza, abbia influenzato il modo con cui i governi nazionali possono proteggere le loro società democratiche e le loro popolazioni. Vi sono stati casi, denunciano Italia, Danimarca ed altri, di espulsione di cittadini stranieri criminali nei quali l’interpretazione della Cedu ha portato alla protezione delle persone sbagliate e ha posto troppe limitazioni alla capacità degli Stati di decidere chi espellere dai loro territori. Si ritiene, giustamente, che la sicurezza della stragrande maggioranza dei cittadini rispettosi della legge sia un diritto cruciale e decisivo, non meno importante, aggiungiamo, dei diritti umani di chi sceglie il rischio di emigrare in maniera illegale.
La sicurezza e la stabilità delle società europee, sottoscrivono Roma, Copenaghen e gli altri sette, devono avere la massima priorità. Viene chiesto di avere più spazio a livello nazionale per decidere quando espellere i cittadini stranieri criminali. Soprattutto, nei casi riguardanti reati gravi di violenza o reati legati alla droga. I Paesi UE hanno bisogno di maggiore libertà nel decidere come le loro Autorità possano tenere traccia, ad esempio, degli stranieri criminali che non possono essere espulsi. Occorre essere in grado di adottare misure efficaci per contrastare gli Stati ostili che cercano di usare i nostri valori e diritti, (accoglienza e rispetto per l’individuo), contro di noi, strumentalizzando i migranti alle frontiere, usati spesso come arma di ricatto e pressione geopolitica.
Il Governo Meloni, sin dal proprio insediamento, si è dato il compito storico di fermare l’immigrazione clandestina e il traffico orribile di esseri umani, e di rendere più efficiente la macchina dei rimpatri. Chi non ha i requisiti per restare e, ancora peggio, si dedica ad attività illegali, delinquenza comune o radicalismo islamico, deve fare ritorno al proprio Paese di origine e serve un sistema rigoroso che assicuri l’effettivo rimpatrio dell’individuo, che diventa una mina vagante sia per i cittadini che per quegli immigrati che si sono stabilizzati all’insegna dell’osservanza della legge. Il Governo lavora affinché il rimpatrio di determinati soggetti non sia solo un foglio redatto dalle Autorità che ben presto si trasforma in carta straccia perché in concreto non avviene poi il reale ritorno a casa delle persone indesiderate. In passato, troppi destinatari di procedimenti di espulsione non hanno mai abbandonato di fatto il suolo europeo, e ciò non è successo soltanto in Italia ed è bastato vedere gli attentati commessi negli ultimi mesi in Germania da stranieri clandestini che avrebbero dovuto lasciare il territorio tedesco addirittura anni prima.
Il Governo Meloni ha scelto la strada dei centri di accoglienza in Albania e ha incontrato, come è noto, gli ostacoli eretti da alcuni Giudici politicizzati, per fortuna ridimensionati poi da una precisa sentenza della Cassazione. Ora, si procede a fare sì che vengano abbattuti i paletti ingiustificati in sede europea per una politica migratoria caratterizzata da regole e legalità. La sinistra italiana, soprattutto la prima donna di quella parte politica, vale a dire, Elly Schlein, se non vuole apprendere nulla da Giorgia Meloni, cerchi almeno di imparare qualcosa dalla premier danese Mette Frederiksen, che non è una pericolosa sovranista di estrema destra, bensì guida il centrosinistra del suo Paese con il partito “Socialdemocratici”.