Migranti e Trieste, Giacomelli. “Posti finiti. Non possiamo più accogliere”

Riproponiamo l'intervista pubblicata su Trieste.news e realizzata da Roberto Srelz in data 14 Dicembre 2022 (Riproduzione Integrale Autorizzata)

Triplicati gli ingressi ufficiali di migranti nel 2022 rispetto al 2019. Questi i numeri ufficiali, noti e confermati. Quelli reali nessuno li conosce, in quanto parte del sommerso e, purtroppo, anche del criminale fatto di reti che trafficano esseri umani. Si ipotizza siano almeno tre volte tanti, c’è chi si spinge a dire dieci volte se consideriamo i passaggi di chi non lascia traccia ma dieci è forse effettivamente troppo. Baricentro del problema diventa ora la Serbia, sulla quale, a causa della possibilità di ingresso più facile e senza visto, la rotta balcanica fa perno come punto di passaggio. Il Friuli Venezia Giulia sente la pressione dell’immigrazione in maniera molto forte; dopo l’incontro fra il sindaco Roberto Dipiazza e l sottosegretario Emanuele Prisco del 6 dicembre, accompagnato dal prefetto Annunziato Vardè e dal consigliere regionale Claudio Giacomelli presenti anche gli assessori comunali Nicole Matteoni e Maurizio De Blasio, a Trieste che cosa è cambiato? O, più realisticamente, può cambiare qualcosa? “È la DIA, la direzione investigativa antimafia, a segnalare negli ultimi anni il confine triestino come pericoloso”; è proprio Claudio Giacomelli, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio della Regione Friuli Venezia Giulia, a rispondere. “Non solo dal punto di vista della criminalità organizzata e del traffico dei migranti, ma anche di quello della droga e delle armi, traffici resi più facili anche dal passaggio continuo di stranieri attraverso la frontiera”.

Giacomelli, Fratelli d’Italia evidenzia il rischio immigrazione da dieci anni. Oggi la convivenza fra la cittadinanza e i migranti è diventata difficile. In che modo concreto, dopo l’incontro con il sindaco Dipiazza, si pensa di affrontare la situazione?

“Iniziamo definendo bene il problema. I numeri ufficiali, diramati dal prefetto, si fermano a novembre e parlano di circa 15mila ingressi in Friuli Venezia Giulia. Udine e Pordenone sono stabili come numeri, che sono invece in grandissimo aumento invece sia a Trieste che nel goriziano. Parliamo di migranti che le forze dell’ordine hanno trovato sul territorio o di chi spontaneamente si è presentato alle autorità chiedendo asilo. I sindacati di polizia ci dicono che per ciascun identificato o dichiaratosi ce ne sono verosimilmente altri tre; oltre queste cifre, nelle ipotesi, non andrei”.

Fratelli d’Italia ha iniziato a occuparsene nel 2013. Non c’è stata, in questi anni, sufficiente attenzione?

“È un fatto già noto. Se nel solo Friuli Venezia Giulia abbiamo 15mila migranti arrivati dalla rotta balcanica, possiamo ricordare che quando si discuteva moltissimo, in tutta Italia, della rotta mediterranea, si parlava di 90mila arrivi: le proporzioni sono presto fatte. In termini percentuali e avendo in mente il fatto che chi arriva attraverso il Mediterraneo trova poi accoglienza in tutto il paese, i 15mila del solo Friuli Venezia Giulia, se dovessero rimanere tutti qui, diventano un numero che per la popolazione è molto più difficile da accogliere dei 90mila. Trieste è particolarmente colpita: a Trieste e a Gorizia i posti dei centri accoglienza straordinaria, i CAS, sono esauriti. Non c’è più modo di accogliere in modo strutturato chi arriva”.

Qual è stata la ragione del collasso?

“A seguito di una sentenza del tribunale di Roma, le riammissioni nel paese UE di provenienza sono rimaste sospese per due anni. È per questo che il sistema, all’inizio del 2021, è andato in crisi. Il sottosegretario Emanuele Prisco ha reso nota una circolare del ministero degli Interni ai prefetti del Friuli Venezia Giulia e annunciato la loro ripresa, dando un nuovo via alla misura. Ora le riammissioni sono in corso. Senza formalità, i migranti che vengono identificati entro i dieci chilometri dal confine verranno restituiti non ai loro paesi di origine, ma al primo paese Schengen che hanno attraversato, come avrebbe dovuto già essere. La questura di Trieste è all’interno della fascia di dieci chilometri dalla Slovenia che permette le riammissioni, quindi la misura riguarda anche chi richiede asilo”.

La Slovenia e la Croazia, nelle motivazioni che stavano alla base della sentenza che bloccava le riammissioni, non venivano considerate nazioni sicure per i migranti. Cosa dicono gli accordi?

“Per normativa internazionale, e arriviamo alla questione giuridica, dei 15mila del Friuli Venezia Giulia arrivati dalla rotta balcanica non dovrebbe essercene nemmeno uno. Le riammissioni, in virtù degli accordi esistenti, sono possibili. Dal punto di vista del diritto, nessuno dei migranti è correttamente qui, questo perché, come è noto, secondo il trattato di Dublino la loro accoglienza è responsabilità del primo paese Schengen che li identifica. Questo è il trattato che la Francia e l’Austria – in generale tutta l’Europa, ma in particolare questi due paesi – sbattono in faccia all’Italia quando i migranti dall’Italia vogliono muoversi oltre Ventimiglia e vengono rimandati indietro, e l’Austria lo fa al Brennero. Questo stesso trattato, da dieci anni, non viene rispettato dai paesi che consentono ai migranti di arrivare in Italia da est lungo il confine della nostra regione: si guarda dall’altra parte e si lascia che sia l’Italia a farsene carico. La rabbia è stata fortissima nel periodo in cui Luigi Di Maio era ministro degli Esteri: Di Maio, e non credo di sbagliare di molto, negli ultimi due anni ha visitato almeno cinque volte la Slovenia parlando di argomenti riguardanti il Novecento, e tacendo sui migranti di oggi e sul fatto che proprio in Slovenia sarebbero dovuti restare”.

Quanti di quelli che hanno chiesto asilo hanno visto la loro richiesta accolta?

“Non ho questo dato per la rotta balcanica in quanto non è stato reso pubblico. Ho però quello della rotta mediterranea: il 57 per cento delle domande è stato respinto”.

Cosa permette un’azione di allontanamento e riammissione in Slovenia?

“Incontrare da noi un migrante giunto attraverso la rotta balcanica non è sufficiente per la riammissione, anche se il paese di provenienza viene identificato con precisione. È necessaria la dimostrazione della sua provenienza dalla Slovenia. Questo si dimostra in qualsiasi modo sia dimostrabile, anche attraverso uno scontrino del paese confinante o una bottiglia d’acqua minerale con l’etichetta slovena. È proprio per questo che si verificano i fenomeni nei boschi che sono diventati così famosi: i migranti hanno la necessità di gettar via tutto quello che possa far risalire le nostre forze dell’ordine a un loro passaggio attraverso il paese confinante, si creano delle vere e proprie discariche in miniatura. Hanno bisogno di abiti che siano anonimi e non siano in alcun modo riconducibili alla Slovenia, di generi alimentari e acqua italiana o anch’essi anonimi, di tutto ciò che serve a evitare una riammissione. Si potrebbe dire: ‘applichiamo la logica, se sono qui e stanno camminando su una strada che a ritroso porta in Slovenia non sono arrivati con il paracadute’. Nel diritto, però, la logica non basta”.

Giacomelli, quali potrebbero essere gli strumenti applicabili concretamente sul territorio?

“Il primo passaggio, quello più importante, è un aumento della vigilanza ai confini. Non può avvenire in altro modo che con un aumento dell’organico, e ne ha parlato in prima persona il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Poi, se le riammissioni, per qualsiasi motivo, non sono una strada perseguibile, l’unica possibilità è il trasferimento dal Friuli Venezia Giulia a una diversa destinazione in Italia. La nostra regione non può essere lasciata sola. Devo dire che l’apporto del ministero dell’Interno è stato in questo periodo centrale: soltanto nelle ultime settimane sono stati trasferiti più di 200 migranti, con ricollocazioni ad esempio in Liguria e in Sardegna”.

Alcune associazioni vi accusano di crudeltà, di violazione dei diritti umani. Ha una risposta?

“Non ci sentiamo malvagi, tantomeno crudeli. Ci accusano di questo: l’ICS e Linea d’Ombra sono state particolarmente critiche nei nostri confronti. Chiedono chiarimenti al governo su quanto ha detto Prisco, sottolineano che le riammissioni secondo loro sono illegali. Nel suo comunicato, Linea d’Ombra scriveva che il sindaco Roberto Dipiazza si è piegato al diktat della ‘peggiore destra’. Sono parole che non condividiamo. In modo più semplice, diciamo che i posti in Friuli Venezia Giulia sono esauriti”.

Perché la critica così forte di Linea d’Ombra e ICS?

“Si chiedeva di aprire, a Trieste, un nuovo centro di accoglienza. Ma questa proposta di un nuovo centro in Via Flavio Gioia era un vero e proprio escamotage, non fosse altro che per la collocazione. Non si proponeva di aprire nuovi punti CAS: formalmente sarebbe dovuto essere un ricovero per senzatetto. Teniamo presente che i migranti non sono vagabondi, esistono delle normative precise: i CAS non si possono inventare da un giorno all’altro sistemando magari i migranti in tende e affidandosi alla buona volontà. Le condizioni nelle quali accogliere chi arriva dalla rotta balcanica sono normate, e giustamente, in modo particolare e preciso: le linee guida ministeriali distinguono con precisione i due tipi di struttura. A differenza dei CAS, inoltre, che sono di competenza dello Stato, i centri per senzatetto sono di competenza comunale e vengono gestiti con modalità completamente diverse e con l’impiego di diverse professionalità. Una soluzione di ripiego, quella di Via Gioia, assolutamente impensabile.

I migranti però sono già qui e i trasferimenti, anche se non ci sarà un nuovo blocco, richiederanno tempo. La cittadinanza denuncia veri e propri accampamenti e situazioni non tollerabili anche in centro città. L’apertura di nuovi centri è possibile?

“Non intendo trincerarmi, per non rispondere, dietro l’aspetto tecnico che distingue CAS e centri per senzatetto. Voglio parlare anche di politica. Non è solamente una questione economica: non c’è un banale ‘chi paga o non paga’. Il Comune di Trieste avrebbe potuto farsene carico eventualmente con l’appoggio della prefettura e il tema non è solo economico. Parliamo di cose concrete: quel centro per senzatetto sarebbe stato aperto in una zona della città che non può permettersi di accoglierlo per un problema di tenuta sociale. Tra piazza della Libertà, che vive già situazioni quotidiane di disagio fortemente segnalate dai cittadini, l’esistente centro di via Udine, la sede dell’ICS stessa, il quartiere avrebbe superato una condizione limite anche in termini di concentrazione di persone e rischio episodi di criminalità. Con il rischio di una reazione. Dobbiamo stare molto attenti ed evitare i quartieri ghetto – la cosa peggiore che può succedere. Dobbiamo stare molto attenti a non trasformare la zona attorno alla stazione ferroviaria, come purtroppo è accaduto in molte grandi città italiane, in un’area di degrado. Per questo siamo stati felici della decisione del sindaco Dipiazza, in particolare dopo quanto accaduto all’area scout di Campo Sacro“.

Piazza della Libertà, cosa si può fare?

“Non è un dormitorio. Quello che Linea D’ombra e ICS non vogliono ammettere è che la capacità di accoglienza è satura. La creazione di nuovi posti non è la soluzione perché non risolverebbe l’impatto percentuale. I migranti non possono restare a Trieste. In merito alle situazioni specifiche, ai problemi di ogni giorno: strumenti legali per allontanare chi sta seduto a terra magari a bere non ce ne sono, non sono funzionali. Per evitare i bivacchi, l’unica soluzione sono riammissioni e ridistribuzione. Al centrosinistra vorrei esser io a fare una domanda, questa volta: secondo voi, quanti migranti può accogliere al massimo Trieste, anche dopo l’apertura di nuovi centri? Settemila, quattordicimila? Ventimila o quarantamila? Ditemi un numero che ritenete reale. Poi potrò chieder loro finalmente di spiegarmi, quando ne arriveranno, oltre a quel numero, ancora mille, che cosa farebbero di diverso dal vigilare i confini, provvedere alle riammissioni, ridistribuire. A meno che non venga detto: ‘porte aperte a tutti’. Che non funziona”.

Sono possibili collocazioni in altri quartieri o zone di Trieste?

“Abbiamo sentito parlare della possibilità di un centro simile, sempre per senzatetto, a Valmaura, e la consideriamo allo stesso modo impensabile per gli stessi motivi: ricordiamo i forti disagi già presenti nella parte bassa di quel rione, a ridosso dell’area della Grande Viabilità. Ci siamo opposti, e anche in questo caso il sindaco ha condiviso la nostra posizione. Nel momento in cui qualcuno immagina di collocare un centro d’accoglienza in aree densamente popolate della città diventa concreto anche un problema di trasporti pubblici e di autobus. Premesso che la strada maestra non può essere che quella dei trasferimenti e del farne entrare di meno, questioni sulle quali la Regione purtroppo non ha una competenza legale – la competenza inclusa la vigilanza del confine e l’asilo, inclusa la valutazione delle richieste, naturalmente è di Roma – credo che l’unica soluzione temporanea per i migranti possa essere una struttura in stile hub situata sul Carso, in prossimità del confine sloveno”.

Esiste per davvero un problema legato alla Serbia, se la Serbia non chiede visti e non controlla?

“I rapporti dell’Italia con la Serbia sono buoni; non so però se questo argomento sia già stato affrontato in modo adeguato. Ora siamo comunque diventati il terzo paese del tratto finale della rotta balcanica, non siamo più il secondo: oggi c’è anche la Croazia. Sono curioso di vedere cosa farà la Slovenia sul confine croato, quali saranno le misure e i comportamenti”.

Esiste un problema di sommerso per quanto riguarda l’accoglienza a Trieste? I migranti vengono accolti anche in appartamenti privati, c’è una rete parallela?

“Non ne abbiamo idea certa, però dividerei la questione in due. Una volta che i migranti sono sotto richiesta d’asilo è compito dello Stato provvedere a loro; ad oggi, alcune strutture, come ICS stessa, affittano appartamenti privati per il collocamento. Lo fanno pagando, e il sommerso in questo caso perde rilevanza, non ci sarebbe alcun vantaggio ad affittare al di fuori del contratto e della legalità. Diverso è il caso di coloro che sono tecnicamente irregolari o con diritto d’asilo negato: la loro vita è proprio il sommerso, incluso l’alloggio e l’eventuale sostegno che ricevono. È in queste situazioni che si sviluppa il rischio criminalità. Ricordiamoci il caso, terribile, del migrante ventiquattrenne morto nel parcheggio del centro commerciale Il Giulia: spacciava droga, dopo neanche un mese dal suo arrivo in Italia. Questo ci rivela cosa sta dietro il traffico degli uomini e delle donne, dopo poche settimane d’arrivo un giovane da solo e di sua iniziativa non ha certo queste possibilità se non viene intrappolato da un’organizzazione, di una rete che lo manda sulla strada a vendere. A queste persone che lasciano il loro paese non per scappare da una guerra ma per cercare fortuna, e alla loro disperazione, noi cosa abbiamo da offrire? Neppure un alloggio”.

Come risolvere il problema della poca presenza di agenti di polizia sul territorio?

“Abbiamo un problema di personale, che è ben noto. Va detto che siamo in un momento in cui dopo una certa visione degli anni Novanta, l’impiego pubblico è stato tagliato con l’accetta, e non si può negare che sia avvenuto anche a seguito di abusi, troppe persone prima e forse mal collocate. Il Covid però ha riportato alla luce una situazione strisciante già prima, in cui non abbiamo lavoratori pubblici. Elenco solo alcuni fra i settori in crisi di personale: forze dell’ordine e polizia locale in senso stretto, polizia di frontiera, personale dei tribunali che decidono sulle presenze. I giudici di pace. Le guardie forestali e i nuclei di vigilanza ambientale. Mancano infermieri, medici e operatori sociosanitari, e mancano persone all’Inps e all’Inail. Sono in crisi una trentina di categorie pubbliche, tutte fondamentali. Una delle grandi sfide del governo di Giorgia Meloni sarà ripensare il sistema pubblico in un momento in cui la situazione mondiale mette lo Stato alla prova. Altrimenti, a ogni emergenza, ci si accorge che manca personale da qualche parte”.

L’italiano è un popolo di migranti.

“Che andava a fare un’altra vita. Non certo facile ma diversa e in territori dove c’era spazio portando il loro lavoro, durissimo, in paesi che ne avevano necessità. L’immigrazione funziona in zone geografiche che hanno ampi bacini territoriali: la Venezia Giulia non ce l’ha e l’Italia nemmeno. E paesi con bassissimo tasso di disoccupazione, al massimo due o tre per cento: non è il nostro caso. La verità è che non possiamo permetterci di spendere più mille euro al mese fra costi diretti e indiretti per ciascun migrante quando la pensione minima di un italiano è meno di seicento euro. Sembriamo in questo momento un paese che può dare qualcosa a qualcuno? Il nostro paese, oggi, è immerso in problemi enormi che non riesce a risolvere. Noi, e penso siamo l’unico partito che prova a farlo, guardiamo alla questione immigrazione senza ideologia. Non ci sono ricette miracolose, non abbiamo più formule generiche da pronunciare in attesa di qualcosa: l’Italia non può più accogliere. Mi piace ricordare le parole di papa Benedetto XVI: ‘si parla di diritto a migrare, ci si dimentica del diritto di restare a casa propria’. Riflettiamo anche su questo”.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.