Milano non dimenticherà facilmente il pomeriggio di ieri. La Stazione Centrale, snodo nevralgico per migliaia di viaggiatori, è stata trasformata in un campo di battaglia: un’ora e mezza di guerriglia urbana, con cariche, fumogeni, devastazioni e sessanta agenti feriti. Otto i fermati, tra cui tre minorenni, accusati di violenza, danneggiamenti e interruzione di pubblico servizio.
Il corteo, partito in mattinata da piazzale Cadorna con circa 15mila partecipanti, aveva inizialmente assunto i toni di una manifestazione pro-Palestina come molte altre viste negli ultimi mesi in Europa. Ma il tentativo di occupare i binari della Centrale ha acceso la miccia: sampietrini, transenne, bottiglie e persino estintori usati contro le forze dell’ordine. Le immagini di giovani incappucciati e gruppi organizzati che devastano la stazione hanno fatto il giro del Paese, generando sgomento e rabbia.
“Indegne le immagini”: la condanna della premier
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affidato ai social un messaggio di condanna durissimo:
“Indegne le immagini che arrivano da Milano: sedicenti ‘pro-pal’, sedicenti ‘antifa’, sedicenti ‘pacifisti’ che devastano la stazione e generano scontri con le Forze dell’Ordine. Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza, ma avranno conseguenze concrete per i cittadini italiani, che finiranno per subire e pagare i danni provocati da questi teppisti. Un pensiero di vicinanza alle Forze dell’Ordine, costrette a subire la prepotenza e la violenza gratuita di questi pseudo-manifestanti. Mi auguro parole chiare di condanna da parte degli organizzatori dello sciopero e da tutte le forze politiche.”
Parole che segnano una linea netta: nessuna indulgenza verso chi utilizza la causa palestinese come pretesto per seminare caos nelle città italiane.
Non solo Milano: un’Italia paralizzata
Gli incidenti non si sono fermati al capoluogo lombardo. La stessa giornata ha visto:
- Roma: occupata la facoltà di Lettere della Sapienza, tangenziale bloccata e metro Termini chiusa per sei ore.
- Bologna: tangenziale e A14 invase dai manifestanti sotto la pioggia, automobilisti intrappolati per ore.
- Napoli: corteo sui binari della stazione centrale.
- Pisa e Torino: superstrada e linee ferroviarie interrotte.
- Genova: tentativo di sfondare il casello di Genova Ovest, mentre il porto già colpito dal maltempo veniva paralizzato dai blocchi.
Un mosaico di proteste che ha aggravato i disagi già provocati dal maltempo e dalle esondazioni al Nord, mostrando come l’intreccio tra emergenza sociale e agitazione politica possa rendere il Paese vulnerabile.
La falsa narrazione della “frangia violenta”
I resoconti parlano di agenti colpiti con pugni e calci, alcuni con i denti fratturati. Non è dunque credibile ridurre tutto a una “piccola frangia di facinorosi”. Da oltre un anno le manifestazioni pro-Palestina in Italia ed Europa registrano con regolarità episodi di violenza, blocchi, boicottaggi nelle università.
È un copione che si ripete: dagli antagonisti No Global ai No Tav, dai No Expo fino ai cortei contro Israele. Gli stessi ambienti e gli stessi metodi. La continuità è evidente e la responsabilità di chi, in politica e nei media, minimizza o legittima queste derive non può essere ignorata.
La dimensione internazionale
L’Italia non è un caso isolato. In tutta Europa, da Parigi a Berlino, le piazze pro-Palestina sono spesso degenerati in violenza. La guerra a Gaza, con il suo carico di morti e la polarizzazione globale, ha riacceso dinamiche radicali che vanno oltre la solidarietà umanitaria.
Dietro lo slogan “Free Palestine” si intrecciano:
- le reti dei centri sociali e dell’estrema sinistra occidentale,
- gruppi di giovani di seconda generazione che vivono una frattura identitaria,
- e organizzazioni internazionali che alimentano la propaganda contro Israele e, per estensione, contro l’Occidente.
Non va sottovalutata la regia esterna: Paesi come Iran e Qatar hanno da anni investito nella costruzione di un fronte mediatico e politico filo-palestinese in Europa. Attraverso ONG, media satellitari, moschee radicalizzate e network digitali, viene alimentata una narrativa di conflitto permanente. In questo contesto, le piazze europee diventano il teatro di una guerra ibrida che non si combatte solo con i missili a Gaza, ma anche con gli slogan nelle nostre strade.
Italia, obiettivo sensibile
Il nostro Paese, crocevia del Mediterraneo e oggi protagonista con il Piano Mattei per l’Africa, è un obiettivo privilegiato per chi vuole destabilizzare l’Europa. Non a caso, le azioni violente hanno colpito infrastrutture strategiche: stazioni ferroviarie, università, porti, autostrade. Sono i gangli vitali della società civile e della mobilità nazionale. Colpirli significa amplificare il senso di fragilità interna, mostrare che lo Stato non controlla più il territorio.
La saldatura tra antagonismo locale e interessi geopolitici esterni è lo scenario che preoccupa di più. È in questa prospettiva che le parole di Meloni assumono una valenza più ampia: difendere l’ordine pubblico oggi significa difendere la sovranità nazionale e l’integrità democratica dall’assalto di una guerra che è insieme fisica, ideologica e mediatica.
Milano non è stata solo teatro di una guerriglia urbana: è stata un laboratorio di destabilizzazione. Quello che è accaduto ieri non riguarda solo la sicurezza delle città, ma la tenuta strategica del Paese. L’Italia non può permettersi di sottovalutare queste dinamiche come “semplici scontri di piazza”.
Dietro le bandiere e gli slogan per Gaza si cela un fronte globale che punta a trasformare la rabbia in arma politica contro l’Occidente. Per questo la risposta non può limitarsi alla repressione dell’ordine pubblico: serve una strategia di difesa complessiva, che unisca intelligence, diplomazia e fermezza politica.
Perché, come dimostrano i fatti di Milano, la guerra ibrida è già arrivata anche qui.