Il 4 novembre 1921 venivano tumulati all’Altare della Patria i resti del Milite Ignoto. Erano partiti il 29 ottobre e avevano passato, fermandosi o passandoci a passo d’uomo, 128 città.
Su Youtube è visionabile il film del viaggio – Gloria, apoteosi del soldato ignoto (Federazione Cinematografica Italiana, 1921)
– e, in quelle immagini in bianco e nero un po’ scattose, è possibile vedere una nazione intera inginocchiarsi davanti a quel simbolo sventolando tricolori, gettando fiori e agitando dei fazzoletti bianchi, probabilmente, gonfi di lacrime.
Perché il Milite Ignoto rappresentava i figli, i fratelli, i mariti e i padri non tornati a casa da quell’immensa carneficina che fu la Prima Guerra Mondiale. Rappresentava il sacrificio di generazioni d’italiani morti per la nostra indipendenza – non era certo solo uno slogan dire che si dovesse combattere per liberare Trento e Trieste – che finalmente trovava una sua consacrazione con la cerimonia di tumulazione nel luogo deputato a esaltare l’amor di patria.
Ma non era solo questo.
Noi non sappiamo le idee e i sentimenti che animavano i muscoli e il cuore quando ancora erano parte di un corpo vivo. Potevano appartenere a un socialista, a un nazionalista, a un monarchico, a un repubblicano o, più plausibilmente, a qualcuno disinteressato alle discussioni politiche oggi diremmo di destra o di sinistra. Chissà se il 24 maggio 1915 aveva festeggiato l’inizio della guerra o se era favorevole alla neutralità o se quel giorno, in un’Italia ancora profondamente agricola, era andato a coltivare il proprio campo senza pensare a quel fronte magari così lontano da casa. Poteva essersi arruolato volontario o semplicemente per fare il proprio dovere. Oppure perché costretto.
E fu un eroe? O un vigliacco?
Non lo sappiamo.
“…Costoro combatterono, in ogni caso,
e alcuni credendovi, pro domo, in ogni caso…
Alcuni avidi d’armi,
alcuni per spirito d’avventura,
alcuni per paura di essere vigliacchi,
alcuni per paura di essere condannati,
alcuni per amore del massacro, immaginato,
e più tardi imparato …” – Ezra Pound “Ode per l’elezione del suo sepolcro”.
Ma la motivazione più giusta è quella della Medaglia d’oro al Valor Militare, conferitagli nel 1921:
Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria.
Perché è questo quello che lui rappresentava allora e continua a rappresentare: il sacrificio per la Patria. Il senso del dovere, fino alle estreme conseguenze e che nulla chiede in cambio, e il valore degli italiani – da secoli colpesti e derisi – che nel coraggio e in quell’identità che nasce dallo sguardo, pieno di paura ma anche di speranza, che si scambiano due soldati prima di uscire dalla trincea, riesce a vincere contro uno dei più potenti eserciti del mondo diventando popolo e nazione.
Ma in uno stato che non era all’altezza della Nazione – e certo non sarà l’ultima volta – e che, dopo l’inferno delle trincee, aveva permesso che i propri figli tornati a casa, magari mutilati, fossero oggetto degli sputi dei “sinistri pacifisti”, aveva accettato una vittoria mutilata e fra la pandemia di spagnola e la mancanza di lavoro aveva condannato gli italiani a essere poveri o, addirittura, a continuare ad emigrare in cerca di fortuna, il Milite Ignoto rappresentava la speranza e l’idea che il ricordo e il culto del sacrificio e degli eroi avrebbe costituito le fondamenta di una nuova Italia all’altezza della sua millenaria civiltà.
“Dulce et decorum est pro patria mori” era scritto sul cimitero degli Eroi di Aquileia da dove era partito il treno. “È dolce e dignitoso morire per la patria”.
E dolce, e straziante, è immaginarsi Maria Bergamas, madre di un irredentista morto combattendo e il cui corpo era andato disperso, il 28 ottobre 1921 entrare nella Basilica di Aquileia per scegliere, fra i resti irriconoscibili di undici soldati provenienti da altrettante aree di guerra, quelli che sarebbero diventati il Milite Ignoto. Straziante il saperla urlare il nome del figlio abbracciando la decima bara trasformando dei poveri resti nel figlio d’Italia.
Un urlo e delle lacrime di dolore ma anche di grandissimo orgoglio.
Nel 1921 E.A. Mario, straordinario autore di più di duemila canzoni tra le quali La leggenda del Piave, componeva la canzone Soldato ignoto. Le parole del compositore raccontano il dolore di chi non ha avuto la possibilità di avere una tomba in cui poter percepire il pianto dei cari. Parole che sembrano raccontare l’Italia di oggi così indifferente al coraggio e alla memoria delle proprie grandezze da non sembrare più Nazione ma solo stato, burocrazia e imposizioni frutto di un pensiero debole e senza ideali.
Eppure molti fra quelli che leggeranno queste parole conosceranno i versi “il Piave mormorava” e saprebbero cantare la canzone della Grande Guerra magari senza ricordarsi dove l’hanno ascoltata la prima volta. Perché, per citare un grande italiano che l’Italia unita non conobbe ma a cui diede versi di libertà, “Sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell‘urna” e il Milite Ignoto così come tutti i morti per l’Italia non sono morti invano perché nella nostra Patria ancora oggi qualcuno che ricorda, qualcuno che racconta, qualcuno che omaggia e, più importante, qualcuno che cerca di vivere all’altezza dei nostri Eroi si troverà sempre.
Soldato Ignoto è molto meno conosciuta come canzone ma i versi sono eccezionali:
“…La gloria era un abisso
Ma dallo Stelvio al mare
Lo sguardo restò fisso
Si doveva passare
E la chiodata scarpa vi passava
Tritò l’impervio Carso a roccia a roccia
Pigiò nel Piave sacro che arrossava
Sangue nemico tratto goccia a goccia!
Soldato ignoto e tu?
Nei meandri del destino,
Or brilla il tuo piastrino
Fregiato dalla palma
Eroe non morrai più
E solo la tua salma
Che è rivolta ad oriente
Da Roma può rispondere
Presente!”
Ecco quel “Presente!” risuona in questo centenario, nel progetto dedicato alla cittadinanza onoraria che Fratelli d’Italia e tante altre realtà portano avanti, a tutte le iniziative, culturali o ideali che siano, che ricordano il Milite Ignoto. In quella regione ideale del tempo, della storia e della gloria che è la Prima Guerra Mondiale è necessario innalzare a quel ricordo i pensieri più puri e liberi dall’ipocrisia della retorica e della vita comoda per dedicare a quella vittoria, così come alle innumerevoli altre che la nostra Patria ha ottenuto anche quando ha perso, il cuore delle nostre speranze. Ma con la forza e il coraggio per far sì che la speranza non sia vana. E che i cuori, nella speranza, non siano mai fiacchi, arresi o nostalgici ma sempre vivi. L’Italia, la nostra Italia, deve trovare negli eroismi del passato, non un pretesto soltanto per cerimonie ufficiali, bensì il coraggio, la dignità e la forza di non essere indegna di quelli né per il presente, né per l’avvenire.
Il milite ignoto non ha un nome in realtà non perché non si sappia chi sia ma perché essendo esempio e simbolo di coraggio e amor di Patria potremo usare per chiamarlo ogni nome d’eroe che vorremo. Anche, se saremo all’altezza di quelle vette ideali a cui dobbiamo tendere, il nostro.
Viva l’Italia del Milite Ignoto che combatté e vinse per noi.
Viva l’Italia che non si arrende.