Myanmar, il paese della paura e dell’oblio

Le vittime del terremoto salgono ma la giunta militare bombarda i ribelli e blocca gli aiuti internazionali

Il numero delle vittime del terremoto in Myanmar è salito a quasi 3000, il paese è in ginocchio ma la giunta militare rifiuta gli aiuti internazionali e continua i bombardamenti contro i ribelli. Uno dei gruppi armati ribelli ha denunciato che le truppe militari hanno sparato contro un convoglio di nove veicoli che stava portando aiuti nelle zone colpite dal terremoto, utilizzando mitragliatrici pesanti mentre attraversava la cittadina di Naung Cho, nello stato settentrionale di Shan, diretto a Mandalay. Il gruppo ribelle ha affermato che il convoglio aveva informato la giunta del suo percorso ma l’esercito ha risposto di non essere stato informato sostenendo che nessuno è rimasto ferito. L’episodio, avvenuto martedì notte, è solo l’ultimo di una strategia condotta dalla giunta militare, accusata da fonti mediche e organizzazioni internazionali di bloccare gli aiuti ai sopravvissuti e di continuare gli attacchi aerei in piena emergenza. La giunta, salita al potere nel 2021 con un colpo di stato, controlla meno del 30% del territorio ma continua la repressione per eliminare i gruppi ribelli. L’Unione Nazionale Karen, uno dei principali gruppi che si oppongono al regime, denuncia il bombardamento di villaggi. Anche le Nazioni Unite confermano “costanti segnalazioni di aiuti bloccati” e attacchi aerei in zone già martoriate dal sisma. Non una novità, durante il ciclone Nargis del 2008 (140mila vittime) l’esercito rifiutò ogni aiuto internazionale. 

Il colpo di stato e la repressione sanguinaria

Ciò che sta accadendo in Myanmar resta comunque avvolto nel mistero dato che i giornalisti non possono entrare nel paese dal colpo di stato del 2021, la giunta militare limita il più possibile gli accessi agli stranieri e la libertà di stampa per evitare che vengano riportate le repressioni sanguinarie portate avanti dal regime per mantenere il potere. Basti pensare che nel 2023 il giornalista Sai Zaw Thaike fu arrestato per aver raccontato in modo indipendente gli effetti del ciclone Mocha, che causò oltre 140 morti in una zona in cui ci sono molti campi profughi della minoranza rohingya: è stato condannato a 20 anni di prigione. Stessa sorte toccata alla leader dell’opposizione Aung San Sul Kyi, premio Nobel per la pace, che prima di riuscire a vincere le elezioni nel 2021 aveva passato vent’anni in carcere.Vittoria effimera dato che pochi mesi dopo la giunta optò per il colpo di stato e si riprese il potere perduto, iniziando una guerra civile che dura da ormai 4 anni e ha causato, secondo le stime, circa 50mila morti, compresi molti bambini

La nazione dimenticata

Il Myanmar è stato un paese dimenticato per molto tempo, colonizzato da britannici, portoghesi, giapponesi durante il ‘900, prima di raggiungere l’indipendenza e chiudersi in un isolazionismo radicale, con contatti solo con la Cina dal 2015 e scambi di aiuti militari con la Russia di Putin. Prima del Myanmar e del paese unito (con confini solo teorici, che non rispecchiano le diverse anime della nazione, tracciate dai britannici), è nato l’esercito birmano, che non ha praticamente mai lasciato il potere negli ultimi 80 anni, ricorrendo ad ogni mezzo per mantenerlo, senza curarsi delle conseguenze. Proprio per questo le interazioni internazionali del Myanmar si limitavano e si limitano alle sanzioni decise dall’Assemblea Generale dell’Onu per le innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse. Senza dimenticare il genocidio compiuto dalla giunta prima e dal governo di Aun San Sul Kyi poi, contro i rohingya, la minoranza musulmana composta da immigrati arrivati dal Bangladesh durante il secolo scorso. Il Myanmar è il paese della paura: guerra civile, repressione del dissenso, persecuzioni delle minoranze e catastrofi naturali; oltre  ad essere il paese abbandonato a sé stesso che sale all’attenzione del consesso internazionale solo per le disgrazie.

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Alessandro Guidolin
Alessandro Guidolin
Classe 1997, piemontese trapiantato a Roma. Laureato in giurisprudenza, appassionato di politica e comunicazione. “Crederci sempre arrendersi mai”

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