Nel giorno in cui Donald Trump viene accolto da un’ovazione alla Knesset annunciando “l’alba di un nuovo Medio Oriente”, Alessandro Nardone – autore del saggio Trump Segreto, edito da Giubilei Regnani – racconta il significato storico di questa giornata e di un leader che, ancora una volta, ha smentito tutti i suoi detrattori. Nardone, che ha seguito sul campo più campagne elettorali americane e anticipato con precisione il ritorno di Trump alla Casa Bianca, offre una lettura che va oltre la cronaca: quella di un uomo che sta ridisegnando la geopolitica mondiale e restituendo all’Occidente un’identità fondata su forza, libertà e coraggio.
Alessandro, partiamo dal titolo del tuo libro. Perché Trump Segreto?
Perché la figura di Donald Trump è stata volutamente travisata. I media hanno costruito un mostro, un “nemico pubblico” funzionale a un sistema che aveva bisogno di delegittimare chi ne minacciava i privilegi. Ma dietro quella caricatura c’è un uomo che ha rivoluzionato la comunicazione politica, il rapporto tra leader e popolo e la stessa idea di potere. Il “segreto” è la sua autenticità: Trump non recita, è Trump. E questo lo rende inaccettabile per un mondo che vive di ipocrisia e di facciata.
Hai seguito più volte le sue campagne elettorali sul campo. Cosa ti ha colpito di più del suo modo di comunicare?
La capacità di creare un legame diretto e viscerale con le persone. Ai comizi di Trump non vai solo per ascoltare un discorso, ma per vivere un’esperienza collettiva, un rito identitario. Non parla ai suoi sostenitori, parla con loro. Non c’è filtro, non c’è artificio. È l’unico leader contemporaneo che ha trasformato la comunicazione in una forma di leadership. Non c’è strategia che tenga senza empatia, e Trump ne ha da vendere. È questo che lo rende imbattibile: anche quando viene censurato o attaccato, riesce sempre a spostare il campo di battaglia e a dettare l’agenda mondiale.
Molti osservatori hanno riconosciuto a Trump una straordinaria abilità nella gestione delle trattative. È così anche secondo te?
Senza dubbio. Trump viene dal mondo del business e ha portato quella mentalità nella politica: trattare non per compromesso, ma per risultato. È un negoziatore nato, che conosce il valore della pressione, del tempo e del rischio. Non cerca di piacere a tutti, ma di ottenere ciò che serve al suo Paese. Anche l’accordo di oggi tra Israele e Hamas lo dimostra: ha usato la forza come deterrente e la fermezza come linguaggio. In quattro ore ha ottenuto ciò che decenni di diplomazia europea non sono riusciti nemmeno a sfiorare.
Nel tuo libro scrivi che “Trump porta la pace, la sinistra porta il caos”. La giornata di oggi sembra darti ragione.
Assolutamente. Mentre la sinistra globale ha alimentato guerre, crisi e disordini, Trump ha riportato stabilità e fiducia. Lo ha fatto da realista, non da idealista. La pace per lui non è un’utopia ma un prodotto concreto della leadership. È un uomo che tratta la geopolitica come un affare serio, non come una sfilata di buone intenzioni. E la prova è davanti a tutti: i cieli del Medio Oriente, dopo anni di sangue e terrore, sono tornati sereni grazie a lui.
Hai accostato spesso Trump e Giorgia Meloni come due facce della stessa sfida. In che senso?
Perché entrambi incarnano una nuova generazione di leader patrioti che antepongono la sovranità e l’identità alla logica del globalismo. Trump ha restituito orgoglio all’America, Meloni lo sta facendo con l’Italia. E insieme rappresentano un asse ideale tra Stati Uniti ed Europa fondato sulla concretezza, sull’amore per la propria terra e sulla volontà di difendere i valori occidentali. Per il Vecchio Continente l’inizio di un nuovo ciclo politico che possiamo definire Make Europe Great Again: un’Europa dei popoli, non delle burocrazie, capace di tornare protagonista nel mondo. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, l’Italia di Giorgia Meloni avrà un alleato naturale nel costruire questo progetto.
In definitiva, chi è davvero Donald Trump, al di là delle narrazioni?
Un combattente. Un uomo che incarna il principio di non arrendersi mai, nemmeno quando tutto il mondo sembra crollargli addosso. È caduto mille volte e mille volte si è rialzato, più forte di prima. Lo definiscono divisivo, ma la verità è che unisce chi crede ancora nella libertà e nella dignità del lavoro, della fede e della famiglia. Trump non è solo un presidente: è un simbolo. E come tutti i simboli autentici, resiste al tempo e alle menzogne.