A due anni e mezzo dall’insediamento, il Governo Meloni non solo è in piedi, ma è solido, determinato e coerente. In un sistema politico abituato ai compromessi al ribasso, alla gestione dell’esistente e all’eterno galleggiamento, questa è la vera novità. E dà fastidio.
Dà fastidio a chi pensava che bastasse aspettare il primo inciampo per vedere tutto franare. Dà fastidio a chi continua a sentirsi proprietario della legittimità democratica. Dà fastidio a chi è cresciuto convinto che il centrodestra potesse esistere solo se addomesticato.
E invece questo governo – il primo guidato da una donna, da una patriota, da una militante – ha scelto di governare davvero, di mettere mano ai nodi irrisolti dell’Italia, di non lasciarsi intimidire da nessuno.
La sinistra continua a ripetere che siamo pericolosi. E ha ragione: siamo pericolosi per chi ha fatto della rassegnazione un mestiere. Siamo pericolosi per chi ha trasformato le emergenze in rendite di posizione e per chi ha gestito il declino come se fosse una strategia.
Giorgia Meloni non è una parentesi, è un cambio di passo, è la dimostrazione che si può guidare l’Italia con le mani libere, con la testa alta, con la schiena dritta.
Abbiamo rimesso al centro i doveri, oltre ai diritti, l’identità, oltre al consenso, la visione, oltre la gestione quotidiana.
Il taglio del cuneo fiscale, il premierato, la riforma della giustizia, il contrasto all’immigrazione illegale, il modello Caivano, il Piano Mattei, gli accordi con Tunisia e Albania, il posizionamento saldo nell’Alleanza Atlantica: tutto questo non è tattica. È strategia.
Una strategia chiara: riportare l’Italia al centro. Rimettere lo Stato al servizio dei cittadini. Liberare le energie imprenditoriali. Difendere la famiglia, la scuola, le nostre radici.
Chi ci attacca lo fa spesso in nome di un finto progressismo che pretende di riscrivere la realtà, di censurare chi non si allinea, di trattare come “pericoloso” chi semplicemente non si piega. Ma gli italiani hanno capito la differenza tra propaganda e verità, tra imposizione e buon senso.
Per questo oggi l’Italia è governata da chi non chiede il permesso a nessuno per difendere i suoi cittadini.
E allora è giusto dirlo, chiaro e forte:
Non chiediamo scusa per difendere le Forze dell’Ordine.
Non chiediamo scusa per fare gli interessi delle nostre imprese, non quelli delle multinazionali che producono in Cina.
Non chiediamo scusa per difendere i nostri confini.
Non chiediamo scusa per combattere la criminalità e garantire sicurezza a tutti.
Non chiediamo scusa per non essere succubi del pensiero unico della sinistra.
Non chiediamo scusa perché amiamo la nostra Patria, veneriamo Dio – non ideologie totalitarie – e dedichiamo la nostra esistenza alla Famiglia.
Non chiediamo scusa perché constatiamo l’esistenza di due soli sessi: maschio e femmina.
Non chiediamo scusa perché riteniamo che la famiglia sia composta da mamma, papà e figli, e rappresenti la cellula fondante della società.
Non chiediamo scusa perché rifiutiamo che ai bambini, nelle scuole, venga fatto il lavaggio del cervello con l’ideologia gender.
Non chiediamo scusa perché riteniamo che la democrazia non sia un’esclusiva della sinistra.
Non chiediamo scusa perché difendiamo la libertà d’opinione contro la censura ideologica.
Non chiediamo scusa se oggi, grazie a Giorgia Meloni, l’Italia è rispettata in tutto il mondo.
Non chiediamo scusa se non facciamo gli interessi di oligarchi globalisti come Soros, ma solo quelli degli italiani.
Non chiediamo scusa se non abbiamo un debole per regimi dittatoriali come quello comunista cinese o quello venezuelano.
Non chiediamo scusa se i nostri giovani, quando manifestano, non mettono a ferro e fuoco le città.
Non chiediamo scusa se difendiamo la proprietà privata.
Non chiediamo scusa se stiamo dalla parte dell’Occidente e delle sue radici giudaico-cristiane.
Non chiediamo scusa se siamo arrivati al governo della Nazione non perché cooptati da qualche potente, ma perché abbiamo cominciato a fare politica da ragazzi con i secchi di colla e i volantini stampati col ciclostile. E oggi eccoci qui.
Questo siamo. E questo resteremo.
Non per arroganza, ma per rispetto.
Per l’Italia, per la verità, per la libertà.
E anche per noi stessi, perché c’è qualcosa che per noi vale più di una vittoria elettorale: la dignità.