È ufficiale: il Senato ha approvato in prima lettura la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente (pubblici ministeri) e giudicante (giudici). Un passaggio storico atteso da decenni, che oggi, grazie alla maggioranza di Centro-Destra, fa un deciso passo avanti verso una giustizia più equa, più trasparente e finalmente più indipendente.
I numeri parlano chiaro: 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astensioni. Un risultato che non lascia spazio a fraintendimenti. È una riforma che pone fine a un’anomalia tutta italiana: PM e giudici che condividono carriera, avanzamenti, percorsi formativi, rischiando di creare promiscuità e mancanza di terzietà, che mina la credibilità dell’intero sistema giudiziario.
L’opposizione – come (ormai) prevedibile – ha reagito con rabbia e il solito teatrino a cui ormai ci siamo abituati. In Aula, i senatori del PD hanno sollevato la Costituzione capovolta, mentre i 5 Stelle hanno esposto cartelli con le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino accostate a quelle di Silvio Berlusconi e Licio Gelli, nel tentativo di trasformare un momento di riforma istituzionale in uno scontro ideologico. Il tutto enfatizzato da fischi, urla e slogan.
Una contestazione a dir poco fuori luogo, soprattutto se si considera che Giovanni Falcone – il magistrato simbolo della lotta alla mafia – era esplicitamente favorevole alla separazione delle carriere. A ribadirlo con forza è stato Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia ed esponente storico del Partito Socialista, certo non un alleato della tanto agognata “Destra Fascista”. Martelli ha ricordato come Falcone ritenesse la separazione delle carriere una misura logica, ma soprattutto necessaria, per garantire il giusto processo e una reale terzietà.
Chi in Aula ha sventolato le immagini di Falcone per opporsi alla riforma, ha dimostrato di non conoscere – o peggio, di ignorare intenzionalmente– il pensiero del magistrato che dicevano di voler onorare. Solo i 5 Stelle potevano essere capaci di ciò…
Nonostante le barricate ideologiche di PD e M5S, dobbiamo constatare la spaccatura tra le opposizioni. Azione, con coerenza, ha votato a favore. Carlo Calenda lo ha dichiarato senza esitazioni: “Abbiamo sempre avuto nel nostro programma la separazione delle carriere. Non voteremo mai contro solo per fare opposizione al Governo”. Un segnale importante, che dimostra come su temi di riforma strutturale si possa – e si debba – andare oltre la propaganda. Tema, quello dell’opposizione seria, che Fratelli d’Italia, e soprattutto Giorgia Meloni, porta avanti da anni.
Fratelli d’Italia e Lega sono soddisfatti. Ma a gioire più di tutti è Forza Italia, che rivendica questa riforma come un’eredità diretta del presidente Silvio Berlusconi. “È una vittoria per la giustizia, ma anche per la memoria e le battaglie storiche del presidente Berlusconi – ha dichiarato il capogruppo di FI in Senato –. Il suo sogno di una giustizia giusta è oggi più vicino”.
Ora lo sguardo è rivolto al futuro. La riforma costituzionale (in quanto tale) dovrà affrontare il secondo passaggio alle 2 camere e – salvo gli improbabili due terzi in entrambe le Camere – sarà sottoposta al referendum confermativo, presumibilmente nella primavera del 2026. E sarà allora che gli italiani potranno dire la loro su questo tema cruciale.
Il centrodestra si prepara a portare questa battaglia tra la gente, forte di un messaggio chiaro e limpido: chi indaga non può essere anche chi giudica. È una questione di equità, di giustizia vera e di rispetto delle garanzie costituzionali.
Dopo anni di parole, la politica torna a fare i fatti, e la riforma della giustizia è finalmente diventata realtà.
Una nuova pagina si apre. Con coraggio, determinazione e il rispetto della verità storica.