“Per un omosessuale possono esserci lapidazione, oppure può essere seppellito sotto il crollo di un muro”.
Il giudice talebano Gul Rahim, intervistato da Bild, descrive così il futuro degli omosessuali nell’Afghanistan dei talebani.
E riguardo le donne dice:
“Le donne single saranno perseguitate, alle donne sposate non sarà concesso lasciare casa senza uno specifico permesso, ai ladri saranno tagliate mani e gambe. Ci sarà il ripristino della sharia, è sempre stato il nostro obiettivo. A un ladro che ha rubato un anello ho ordinato fosse tagliata la mano, per aver rubato, e le gambe per essere entrato in casa d’altri. Una banda che rapiva persone è stata impiccata”.
Mentre qui si discute su come rendere il green pass meno offensivo per i non-binari o la nostra intellighenzia dipinge Orban come il male assoluto, ecco questa doccia fredda che viene a ricordarci chi è il vero nemico e l’antitesi a tutto ciò che siamo.
Nel mondo ci sono 72 Paesi dove l’omosessualità è reato e in 7 di questi è punita con la pena di morte. Quasi tutti sono Paesi a maggioranza islamica. Perché, ovviamente, il mantra è che l’islam non c’entra niente.
È il silenzio assordante dell’élite fucsia e arcobaleno a fare più rumore.
La scatola vuota della presunta inclusione tra scelte di politiche pro gender e sessualità liquida dovrebbe per un momento lasciare il posto alla tutela effettiva degli omosessuali che rischiano la vita e delle donne che sono obbligate ad indossare un cencio medioevale, come diceva Oriana Fallaci.
La fatica che si fa nel condannare questi fenomeni col loro nome, denota la congenita ipocrisia della sinistra.
Una sinistra che ti dice che deve esistere in Italia il reato di omofobia perché finché non la chiami col suo nome non ne prendi veramente atto e la combatti, e che al tempo stesso però non riesce a chiamare col proprio nome tante altre cose, a cominciare dall’islam.