Operazione anti-federalizzazione: il piano polacco

A Varsavia, durante l’insediamento del presidente polacco Karol Nawrocki (5-7 agosto 2025), si è svolto un evento importante che ha segnato una svolta nel dibattito politico europeo. Nell’ambito della serie di conferenze MEGA (Make Europe Great Again), questo incontro ha riunito rappresentanti di 23 paesi, dal Belgio al Venezuela, dalla Corea del Sud alla Bolivia, in una dimostrazione di solidarietà conservatrice che trascende i confini continentali.

L’evento di Varsavia ha posto al centro del dibattito la controversia più accesa del momento nell’Unione Europea: i tentativi della Commissione Europea, sotto la guida di Ursula von der Leyen, di trasformare l’UE in una federazione con mezzi occulti. I conservatori europei, con i polacchi in prima linea, si oppongono fermamente a questa direzione, invocando un principio fondamentale: la sussidiarietà.

Il principio di sussidiarietà, pietra angolare dell’organizzazione politica conservatrice, stabilisce che le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile ai cittadini. In altre parole, ciò che può essere risolto a livello locale non dovrebbe essere trasferito a livello nazionale, e ciò che può essere gestito a livello nazionale non dovrebbe essere ceduto a livello europeo. Questo principio tutela non solo l’efficienza amministrativa, ma anche la legittimità democratica delle decisioni.

Una profonda comprensione di questo concetto rivela perché la federalizzazione forzata è così pericolosa. Quando le decisioni vengono prese a un livello troppo alto e troppo lontano dai cittadini, non solo si perde il controllo democratico, ma anche la specificità culturale e sociale che rende efficace una politica in un determinato contesto. Ad esempio, le politiche educative che funzionano in Germania non possono essere applicate meccanicamente in Romania o in Grecia, perché ogni nazione ha le proprie tradizioni pedagogiche, le proprie strutture sociali e le proprie esigenze specifiche.

Gli europei hanno osservato con preoccupazione come la Commissione europea cerchi di aggirare la volontà dei popoli attraverso tattiche indirette: creando un esercito comune senza consultare i cittadini, utilizzando il sistema giudiziario per imporre politiche controverse e sostituendo le direttive (che lasciano libertà di attuazione agli Stati membri) con regolamenti rigidi che si applicano in modo uniforme. Tutto questo avviene senza che ai cittadini europei venga chiesto tramite referendum se vogliono una federazione europea.

Il meccanismo è sottile ma efficiente e ha effetti devastanti. Attraverso la Corte di giustizia dell’Unione europea, la Commissione riesce a imporre interpretazioni estensive dei trattati, trasformando le competenze nazionali in competenze europee attraverso precedenti giuridici. Creando agenzie europee con attribuzioni sempre più ampie, si costruisce un’amministrazione federale senza modificare ufficialmente i trattati. Condizionando i fondi europei al rispetto dei “valori europei” interpretati da Bruxelles, si esercita un ricatto finanziario sugli Stati membri che osano contestare questa deriva.

Il think tank giuridico polacco Ordo Iuris – Istituto per la Cultura Giuridica ha risposto elaborando uno studio approfondito intitolato “THE GREAT RESET: RESTORING MEMBER STATE SOVEREIGNTY IN THE EUROPEAN UNION”, che propone due scenari distinti per la riforma dell’UE, concretizzati in proposte fondamentali volte a riportare l’Unione al suo modello originario. Questa iniziativa legislativa rappresenta il tentativo più completo di riformare l’architettura europea da una prospettiva conservatrice.

Ordo Iuris ha individuato tre problemi principali dell’attuale UE: l’erosione della sovranità nazionale attraverso l’evoluzione dell’UE verso uno Stato quasi federale che limita il potere decisionale nazionale, la centralizzazione del potere attraverso l’espansione dell’autorità delle istituzioni dell’UE oltre il loro mandato originario e l’espansione dell’ideologia e della burocratizzazione attraverso l’imposizione di politiche ideologicamente motivate agli Stati membri senza alcun mandato democratico.

Il primo scenario – “Ritorno alle origini” – propone una profonda riforma dell’attuale UE attraverso 11 proposte concrete. L’accento è posto sul decentramento e sugli interessi nazionali. L’obiettivo è ripristinare la sovranità mantenendo una cooperazione strutturata e garantendo che i governi nazionali mantengano il controllo sui settori politici chiave.

Tra le riforme chiave di questo scenario figurano:

  • Flessibilità basata sugli interessi nazionali (il modello di integrazione “à la carte”) con una clausola di opt-out che consente agli Stati membri di esentarsi dalle politiche in contrasto con le loro priorità
  • Gli Stati membri come centro di gravità, garantendo che la sovranità nazionale rimanga il fondamento dell’UE
  • Il Consiglio europeo come nucleo politico dell’Unione, al di sopra di tutte le altre istituzioni
  • Riduzione del peso legislativo del Parlamento europeo e modifica della sua composizione per includere delegazioni nazionali
  • Limitazione del primato del diritto dell’UE alle sole competenze dell’UE e garanzia che esso non prevalga mai sulle costituzioni nazionali
  • Estensione dell’unanimità nel processo decisionale per proteggere la sovranità nazionale
  • Riforma della Commissione europea in un Segretariato generale più tecnico, eliminando il suo monopolio sulle infrazioni e sulle iniziative legislative
  • Ristrutturazione della Corte di giustizia per limitare la sua autorità sui sistemi giuridici nazionali
  • Istituzione di uno “scudo di competenza nazionale” nel TUE, che protegga un elenco di competenze dall’ingerenza dell’UE
  • Corretta applicazione del principio di sussidiarietà, che consenta agli Stati membri di rivendicare le competenze qualora l’UE non agisca nell’ambito dei suoi mandati
  • Rinominare l’UE in Comunità europea delle nazioni (ECN) per riflettere un’unione di Stati sovrani, piuttosto che un’entità sovranazionale

Il secondo scenario – “Un nuovo inizio” – propone una completa ristrutturazione istituzionale, sostituendo l’attuale quadro dell’UE con un sistema intergovernativo flessibile che consenta agli Stati di determinare la portata e la natura della loro cooperazione.

Gli elementi centrali di questo scenario includono:

  • Unione intergovernativa – Primato degli organi intergovernativi, con un processo decisionale basato sull’unanimità e un Segretariato esecutivo che supervisiona l’attuazione. Una Corte arbitrale europea risolverebbe le controversie tra gli Stati membri.
  • Volontarietà e flessibilità – Introduzione di un modello di integrazione “à la carte”, che consenta agli Stati membri di partecipare ai settori fondamentali della cooperazione e di aderire o meno a progetti aggiuntivi quali la protezione delle frontiere, la sicurezza energetica e la ricerca scientifica.
  • Conferimento e sussidiarietà – Rafforzamento del principio del conferimento, garantendo una chiara distinzione tra le competenze dell’UE e quelle degli Stati membri, con garanzie di sussidiarietà e possibilità di opt-out da una cooperazione più approfondita.
  • Primato delle costituzioni nazionali – Tutela della sovranità nazionale dando priorità alle costituzioni nazionali rispetto agli obblighi dell’UE, consentendo adeguamenti basati sui quadri giuridici nazionali e garantendo al contempo la cooperazione entro i limiti concordati.
  • Transizione verso una nuova Unione – Un piano di transizione graduale per sciogliere l’UE e istituire una nuova Unione basata sui principi descritti, che includa la gestione delle attività, delle passività e del finanziamento durante il periodo di transizione.

Entrambi gli scenari si oppongono a principi fondamentali: sovranità nazionale contro primato dell’UE, costituzioni nazionali contro attivismo giudiziario, democrazia rappresentativa contro governance tecnocratica, sussidiarietà e rispetto delle competenze nazionali contro centralizzazione, interessi nazionali contro valori autoproclamati dell’UE e libertà di espressione contro controllo ideologico.

Il pericolo di una federalizzazione forzata non riguarda solo gli aspetti giuridici o amministrativi. Esso attacca la legittimità democratica stessa della costruzione europea. Gli Stati membri non hanno aderito all’UE per diventare componenti di una federazione, ma per cooperare economicamente e trarne vantaggi reciproci. Trasformare questa unione in una sovrastruttura federale senza il consenso esplicito dei popoli rappresenta una confisca della sovranità nazionale attraverso un sotterfugio.

L’esperienza storica ci insegna che le federazioni durature si formano attraverso la volontà esplicita dei popoli costituenti, che condividono la stessa identità nazionale, non attraverso l’inganno amministrativo. Gli Stati Uniti, la Germania, ecc. sono stati tutti creati attraverso processi costituzionali trasparenti in cui i cittadini sono stati informati e consultati sulla natura della nuova costruzione politica, ma soprattutto esisteva una coesione umana di cultura, lingua, tradizioni, ecc. Ciò che sta accadendo nell’UE è esattamente l’opposto: una federalizzazione nascosta, attraverso l’accumulo burocratico di competenze, senza un mandato democratico esplicito.

Se la Commissione persiste in questa direzione, le discussioni sul ritiro dall’UE e sulla sua ricostruzione sulle basi iniziali – quelle di una cooperazione economica equilibrata – acquisteranno sempre più slancio nelle capitali europee. Si tratta di un tema che “ribolle nell’agenda degli Stati membri”, come osservato a Varsavia, con una sola eccezione degna di nota: la Romania, dove questi dibattiti cruciali sembrano non penetrare nello spazio pubblico, ad eccezione del partito conservatore-sovranista AUR, l’Alleanza per l’Unione dei Rumeni.

Questo silenzio rumeno non è casuale. Riflette la completa conquista delle élite politiche e mediatiche da parte del progetto federalista, che garantisce loro un accesso privilegiato alle risorse e alle posizioni nella nuova gerarchia europea. Per queste élite, la federalizzazione significa promozione nella gerarchia del potere continentale, mentre per i cittadini comuni significa perdere ogni controllo sul proprio destino politico.

La Repubblica conquistata dalle organizzazioni criminali: la casta

Uno dei temi dibattuti durante l’evento è stata la metamorfosi dei partiti di estrema sinistra in quelle che alcuni partecipanti hanno definito “organizzazioni criminali” che utilizzano l’apparato statale per promuovere i propri interessi finanziari.

Il concetto di ‘casta’ è stato centrale in queste discussioni, anche se non è stato chiamato con questo nome, ma direttamente “organizzazione criminale”. A differenza delle caste tradizionali, basate sulla nascita o sulla tradizione, la casta moderna si forma attorno al controllo istituzionale e ai flussi finanziari. Non si proclama apertamente, ma opera attraverso reti di influenza discrete, utilizzando il linguaggio della democrazia e della trasparenza per mascherare i suoi veri obiettivi.

Questa casta moderna o oligarchia discreta non si basa sulla classica proprietà dei mezzi di produzione, ma sul controllo dei flussi di informazione, dei meccanismi di regolamentazione e della distribuzione delle risorse pubbliche. I suoi membri non sono necessariamente le persone più ricche della società, ma coloro che controllano i punti decisionali del sistema socio-economico. Ad esempio, un pubblico ministero con uno stipendio modesto ma con il potere di aprire o chiudere casi può essere infinitamente più influente di un uomo d’affari con milioni in banca. Ma qualcuno ha anche reso influente quel pubblico ministero per proteggere i propri interessi finanziari.

Il meccanismo di funzionamento di questa casta è affascinante per la sua raffinatezza. Invece di confiscare direttamente la proprietà privata, crea un labirinto di regolamenti, autorizzazioni e controlli che rendono impossibile il funzionamento senza la sua complicità. L’imprenditore non viene espropriato direttamente, ma è costretto a condividere i profitti con la rete burocratica che può ostacolare o facilitare la sua attività. Il giornalista indipendente non viene censurato attraverso il divieto diretto, ma attraverso il taglio dei fondi pubblicitari pubblici e l’emarginazione dalle reti di distribuzione controllate dalla casta.

Questa oligarchia discreta funziona conquistando istituzioni chiave – giustizia, media, istruzione, amministrazione – e trasformandole in strumenti per perpetuare il proprio dominio. La legge diventa così non uno strumento di giustizia, ma un’arma al servizio della casta, utilizzata per eliminare gli avversari politici e proteggere i propri interessi finanziari.

Il fenomeno non è specifico della Romania, ma si riscontra in tutta Europa, da qui l’interesse dei partecipanti internazionali per i meccanismi con cui queste strutture oligarchiche conquistano e minano la democrazia.

Ciò che accomuna questi fenomeni apparentemente diversi è l’uso della retorica morale e degli strumenti giuridici per promuovere gli interessi di un gruppo presentato come quelli dell’intera società. La casta moderna non dice mai di agire per il proprio beneficio, ma sempre per la “democrazia”, la ‘trasparenza’, i “diritti umani”, la “lotta alla corruzione” o altri concetti che suonano nobili ma nascondono la vera agenda.

Conservatorismo: il movimento che nasce dal basso

Forse la riflessione più significativa emersa dall’evento è stata la ridefinizione del conservatorismo non come una nuova ideologia, ma come un ritorno a ciò che è naturale e organico nell’organizzazione della società. Dopo decenni di esperimenti sociali radicali, il conservatorismo non appare come una rivoluzione, ma come un recupero dell’equilibrio perduto.

Questa prospettiva spiega perché il conservatorismo non ha bisogno di “lottare” per promuovere i propri valori: essi sono naturali e si affermano da sé quando non vengono soppressi artificialmente. Solo la deviazione dalla normalità ha bisogno di forza per imporsi e mantenersi. Il conservatorismo non è un’ideologia nel senso classico del termine, perché il suo potere viene dal basso verso l’alto, dal popolo alla leadership, e non viceversa.

A Varsavia si è discusso a lungo di questa differenza fondamentale tra conservatorismo e ideologie rivoluzionarie. Marxismo, liberalismo radicale, femminismo estremo presuppongono tutti che la realtà esistente sia fondamentalmente difettosa e debba essere modificata tramite l’intervento sistematico di un’«élite» illuminata. Il conservatorismo, al contrario, parte dal presupposto che l’ordine sociale naturale, sviluppatosi organicamente nel corso dei millenni, contenga una saggezza accumulata che supera la capacità di qualsiasi élite di ripensarlo.

Ciò non significa che il conservatorismo rifiuti ogni cambiamento. Al contrario, riconosce che il cambiamento è inevitabile e necessario, ma sostiene un cambiamento organico, che rispetti la continuità e si fondi sull’esperienza accumulata. È la differenza tra evoluzione e rivoluzione, tra adattamento naturale e mutazione forzata.

Questa dinamica spiega anche il rapporto del conservatorismo con il progresso. Il conservatorismo non significa stagnazione, ma progresso entro i limiti dell’accettabilità sociale, un ritmo naturale di cambiamento che rispetta continuità e stabilità. È un progresso organico, che non viola il tessuto sociale, a differenza del progressismo radicale che impone cambiamenti bruschi e artificiali.

Pertanto, il conservatorismo non può essere sconfitto con argomenti puramente razionali, perché non si basa su una teoria filosofica astratta, ma sull’esperienza vissuta dalle comunità umane. Quando un conservatore difende la proprietà privata, non cita Locke o Smith, ma ricorda l’esperienza concreta del nonno che ha costruito la propria casa con le sue mani. Quando difende le tradizioni religiose, non fa una dimostrazione teologica, ma pensa alla pace dell’anima che esse gli hanno portato nei momenti difficili della vita.

Questo radicamento nell’esperienza concreta rende il conservatorismo più resistente agli attacchi intellettuali e, allo stesso tempo, più vulnerabile ai rapidi cambiamenti dell’ambiente sociale, ma i suoi valori restano profondamente validi per la natura umana fondamentale.

L’esperimento orwelliano nei Carpazi: quando la sicurezza nazionale sostituisce la democrazia

La presenza a Varsavia di rappresentanti di 23 paesi non è stata casuale. I delegati provenienti da Belgio, Bolivia, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Ecuador, Estonia, Francia, Grecia, Guatemala, Irlanda, Italia, Regno Unito, Messico, Norvegia, Paesi Bassi, Paraguay, Romania, Slovenia, Spagna, Corea del Sud, Stati Uniti e Venezuela sono venuti per comprendere e imparare dal caso romeno, una lezione scioccante su quanto possano essere fragili le istituzioni democratiche quando restano ostaggio di interessi oligarchici.

L’annullamento delle elezioni presidenziali romene mentre erano in corso ha rappresentato un momento senza precedenti nella storia della democrazia. Per la prima volta, un Paese membro dell’UE e della NATO ha cancellato integralmente un processo elettorale non per frodi comprovate o gravi irregolarità, ma per l’“inaspettato” esito del voto popolare.

Il meccanismo di questa confisca della democrazia è stato al centro delle discussioni di Varsavia. Prima, una campagna mediatica per demonizzare il candidato scomodo, basata su speculazioni e interpretazioni tendenziose. Poi, il richiamo a vaghe “minacce alla sicurezza nazionale”, impossibili da contestare senza essere accusati di tradimento. Infine, la mobilitazione coordinata delle istituzioni statali per annullare le elezioni, ciascuna giustificando le proprie azioni con le decisioni delle altre.

Ciò che ha scioccato il mondo non è stato solo il fatto in sé, ma la facilità con cui è stato realizzato e l’assenza di una resistenza significativa da parte della società civile. La Romania ha dimostrato che una democrazia apparentemente consolidata può essere smantellata in pochi giorni se le élite sono unite nello scopo e la popolazione è abbastanza passiva o disinformata.

Le tecniche utilizzate in Romania possono essere considerate un vero e proprio “manuale per minare la democrazia” applicabile ovunque le istituzioni siano deboli e la classe politica corrotta. Per questo, i delegati presenti hanno voluto capire come proteggere i propri sistemi da scenari simili, approfondendo il ruolo dei social network e degli algoritmi nella manipolazione dell’opinione pubblica e i meccanismi giuridici con cui una decisione politica può essere mascherata da misura tecnica di sicurezza nazionale.

Il caso romeno è diventato un esempio su come la volontà popolare possa essere confiscata in nome della “democrazia” e della “sicurezza nazionale”. La lezione più dolorosa è che tutte le istituzioni considerate garanti — giustizia, servizi segreti, media, partiti — possono essere mobilitate contro la democrazia se controllate dalle stesse reti di potere.

Il paradosso romeno è che l’annullamento delle elezioni è stato giustificato come difesa della democrazia contro “influenze antidemocratiche”. Questa inversione orwelliana — distruggere la democrazia per salvarla — è una delle principali tecniche delle oligarchie moderne. Le stesse logiche, senza arrivare all’annullamento, sono state applicate nella campagna in cui George Simion “non doveva vincere” per consentire di proseguire il progetto di federalizzazione europea. La Polonia, invece, ha resistito: per questo Karol Nawrocki ha vinto.

La chiamata MEGA: l’unione fa la forza, la libertà prima di tutto

L’evento MEGA di Varsavia ha segnato un momento di cristallizzazione del movimento conservatore. Tra la spinta alla federalizzazione forzata e la cattura delle istituzioni da parte delle oligarchie, i conservatori hanno identificato le minacce e iniziato a formulare risposte concrete.

Il principio di sussidiarietà, il rifiuto della casta moderna e il ritorno ai valori naturali dell’organizzazione sociale non sono idee radicali, ma un ritorno alle fondamenta della civiltà. In questo senso, il conservatorismo non è un’ideologia di opposizione, ma una riscoperta dell’equilibrio e della normalità.

A Varsavia è maturata la consapevolezza che l’Europa è a un bivio. L’attuale direzione verso la centralizzazione e la conquista delle istituzioni non è irreversibile, ma il tempo per cambiare rotta sta scadendo. Ogni giorno di silenzio rafforza le posizioni delle oligarchie.

I conservatori hanno capito che non bastano proteste episodiche o critiche marginali: serve una strategia globale che includa la riforma dei trattati europei, la ricostruzione di sistemi educativi infiltrati da ideologie progressiste e, soprattutto, il risveglio dei popoli europei alla realtà della confisca della loro democrazia.

L’esperienza romena dimostra che le oligarchie non si fermano davanti a nulla: sono disposte a distruggere la democrazia per “salvarla”, a cancellare le elezioni per “proteggere” il processo elettorale, a censurare per “combattere la disinformazione”. L’unico antidoto è l’esposizione sistematica delle contraddizioni tra retorica e realtà.

MEGA Polonia ha mostrato che la mobilitazione conservatrice non è solo europea, ma parte di un movimento globale, in cui le forze sovraniste si uniscono per fermare l’avanzata di un’élite globalista che vuole uniformare e omologare culture e nazioni.

In questa lotta per la libertà e la sovranità, l’evento di Varsavia segna l’inizio di una nuova era di cooperazione internazionale. Il messaggio finale è stato chiaro: “L’unione fa la forza, la libertà prima di tutto”.

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Silvia Uscov
Silvia Uscov
Silvia Uscov is a Romanian lawyer with experience in commercial law, tech law and human rights. She holds international certifications, maintains annual pro-bono work and writes on justice and political issues. She coordinated George Simion’s 2025 presidential campaign legal team.

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