Pallone e storia: calciatori oltre il “rettangolo verde”

In assenza di campionato e coppe, con l’unico diversivo calcistico del (non molto seguito e con poca Italia) Mondiale per club, vi parliamo di “pallone” in modo un po’ diverso dal solito. I calciatori, infatti, prima di essere tali, anche se a volte qualcuno tende a dimenticarlo, sono uomini. E il percorso di alcuni di loro si è intersecato con vicende ed eventi che siamo abituati a leggere sui libri di storia.

Tra essi ci sono sicuramente quelli ai quali è dedicato il volume curato da Fabrizio Munno e Fabio Bellisario intitolato Dal Tevere al Piave. 1915-18: gli atleti della Lazio nella Grande Guerra (Eraclea, 2015). Un volume che è una ricerca storica effettuata con metodo e documentata precisione che riguarda “oltre duecento ragazzi, trenta dei quali periti al fronte o per le conseguenze di ferite riportate durante i combattimenti”.

Legato invece ad un altro periodo storico è Il terzino e il Duce (Solferino 2024) di Alessandro Fulloni, che ripercorre la biografia di Eraldo Monzeglio (1906-1981), terzino della Nazionale e due volte campione del mondo (nel 1934 e nel 1938). Nativo di Vignale Monferrato, Monzeglio arrivò a giocare nel Bologna e nella Roma, con cui proseguì la carriera anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo e vinse, come direttore sportivo, uno scudetto (1942). Frequentando la spiaggia di Riccione conobbe i Mussolini e divenne amico personale di Benito. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale indossando la divisa grigioverde e partendo per il fronte russo, dopo aver messo la sua popolarità al servizio dell’Esercito. Poi, dopo l’8 settembre, seguì il Duce a Salò, entrando a far parte della sua segreteria. Calcisticamente parlando, nel 1946 sedette sulla panchina del Como, a cui seguirono quelle di Pro Sesto, Napoli, Sampdoria e Juventus. “La sua storia – si legge nella quarta di copertina del volume di Fulloni – intreccia più volte quella dei protagonisti della sua epoca. A lungo schierato con il fascismo, contribuì però a salvare un partigiano, Giuseppe Perucchetti, ex portiere dell’Inter e della Juve, colto a trasportare armi e condannato a morte. Fu a Como nelle ore drammatiche in cui la RSI si dissolse, ma di quel periodo non parlò quasi con nessuno, nonostante le insistenze” di diversi giornalisti e scrittori. Alessandro Fulloni ha indagato a fondo la vita di Monzeglio, restituendo ai lettori una biografia che è quella “di un campione sportivo e di un protagonista dimenticato della storia italiana”.

Alle terribili pagine delle foibe e dell’esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, sono infine connesse le parabole umane e professionali di altri due grandi campioni del rettangolo verde: i fiumani Loik (1919-1949) e Volk (1906-1983), che sono tra i ritratti inseriti nella raccolta Dall’Italia al cielo (Eclettica 2024). 

Ezio Loik ha un fisico possente e con la palla al piede è molto dotato. Corre per tutta la partita e si fa sempre trovare pronto in ogni zona del campo. La sua carriera esplode quando, nel 1942, viene acquistato dai granata e diventa una delle colonne portanti del Grande Torino. Muore insieme a tutta la squadra nella tragedia di Superga, il 4 maggio 1949. La moglie Lilia ricorda che le sue qualità innate erano la modestia e la generosità ed a proposito del legame con Fiume aggiunge: “quando incontrava qualche fiumano, prendeva subito il portafogli chiedendo se avevano bisogno di soldi”, essendo “ben consapevole delle difficoltà di chi, come la sua famiglia, aveva abbandonato quelle terre”. 

Quanto a Rodolfo Volk, nel 1928 arriva nella Capitale, dove ben presto diventa una vera e propria leggenda giallorossa. E’ lui, nel novembre 1929, il primo calciatore a segnare un goal nel nuovo stadio di Campo Testaccio. Ed è ancora lui il marcatore che regala alla Roma il primo derby della storia, che si giocò l’8 dicembre 1929. Attaccante completo e molto prolifico, è tra i migliori marcatori della sua epoca ed è il primo giallorosso a diventare capocannoniere nella Serie A con 28 reti nel campionato 1929-1930. Da quando smette di giocare, nel 1942, comincia per lui un periodo difficilissimo, perché in seguito all’esodo giuliano-dalmata perde tutto e condivide il destino dei molti che sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Con la sua famiglia vive fino al 1956 in un campo profughi senza riuscire, nonostante infiniti tentativi, a trovare un lavoro. Alla fine, grazie all’aiuto dell’ex compagno di squadra Fulvio Bernardini, riesce a tornare a Roma, dove prima si impiega come usciere nella sede del Totocalcio di Piazzale Ponte Milvio e poi, negli anni Sessanta, diventa fattorino della piscina del CONI al Foro Italico. Oltre ad essere stato un grandissimo calciatore, Volk è stato anche un uomo straordinario, che ha sofferto in silenzio per quanto subito a Fiume e durante la sua vita da profugo. Una vita che, ricorda Andrea Stabile su La Stampa, “non aveva mai raccontato a nessuno. Generoso e riservato, soltanto ogni tanto, con un moto di orgoglio, si concedeva di ricordare all’interlocutore di turno il suo passato nel calcio e, mostrando una foto, diceva: Vedi questo giocatore? Un giorno ebbe il mio nome”.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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