Perchè al-Sisi si e Putin no

La premier Giorgia Meloni si e’ recata in questi giorni in Egitto per un incontro bilaterale con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha avuto da ridire anche in merito al viaggio a Il Cairo del Presidente del Consiglio.

Secondo la leader piddina, l’Italia sarebbe andata a stringere la mano insanguinata di un dittatore, responsabile della morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano rapito, torturato ed ucciso in Egitto nel 2016. Facciamo, intanto, un po’ di ordine. E’ avvenuto si’ il bilaterale Italia-Egitto, peraltro contrassegnato da contenuti molto importanti come le intese siglate nell’ambito del Piano Mattei per l’Africa, del quale fa parte anche Il Cairo, ma, dopo il faccia a faccia Meloni – al-Sisi, si e’ aperto un vertice UE-Egitto per sancire un nuovo partenariato globale e strategico fra l’Unione Europea e il Paese nordafricano, presenti, oltre a Giorgia Meloni, alcuni primi ministri continentali e la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen.

Se ci dovessimo basare sulle infelici semplificazioni di Elly Schlein, saremmo costretti a dire che pure la von der Leyen strizza l’occhio ai sanguinari in uniforme militare, ma le dinamiche della politica internazionale sono un poco più complesse delle analisi “terra terra” di una segretaria di partito che pensa di essere ancora all’Università a guidare i collettivi studenteschi.

Nella critica verso il summit Meloni – al-Sisi, oltre all’approccio banale della Schlein, c’è anche della malafede. Le sinistre e il PD, quando si sono trovati al governo del Paese, hanno colloquiato con regimi persino peggiori di quello egiziano, iniziando dalla Cina comunista dove gli oppositori non vengono certo rinchiusi in una Spa di lusso, e ricordiamo come dialogassero un po’ tutti diversi anni fa, di qualsiasi colore politico, con Hosni Mubarak, presidente dell’Egitto per 30 anni, che non era di sicuro più liberale e democratico di al-Sisi.

D’altra parte, conosciamo la doppia morale della sinistra secondo la quale, se fossero lor signori, in questo momento, al governo dell’Italia e si recassero, con o senza i rappresentanti europei, a Il Cairo, si tratterebbe solamente di sano realismo, ma se a compiere ciò è Giorgia Meloni, beh, abbiamo davanti un governo che si inchina a satrapi criminali.

La premier italiana in Egitto ha ribadito con chiarezza che l’Italia non ha dimenticato Giulio Regeni e non vuole farlo nemmeno in futuro, continuando a sostenere indagini e processo istituiti dalla Procura di Roma in merito alla tragica e misteriosa morte del giovane ricercatore, il cui corpo, avente segni evidenti di tortura, fu ritrovato nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.

Quindi, nessun timore reverenziale, ma il Governo ritiene di mantenere aperto un canale di dialogo con il presidente Abdel Fattah al-Sisi per più ragioni, senz’altro utili all’interesse nazionale italiano ed anche alla governance strategica fra Europa, Egitto e il resto del Nord Africa. Il mondo arabo e islamico non è certo un monolite e, oltre alla divisione antica tra sunniti e sciiti, ci sono i fautori dell’Islam politico, della applicazione integrale nella società della sharia, della teocrazia insomma, come unica via per governare i Paesi.

Non tutti sono d’accordo però con l’integralismo religioso usato politicamente e alcuni, giunti anche a posizioni di rilievo nei loro Paesi, ritengono che i governi arabi, pur trovandosi a capo di Nazioni nelle quali l’Islam è forte e senza dubbio maggioritario, debbano essere meno impregnati di religione. Esiste, purtroppo, la minaccia del terrorismo fondamentalista, che, va da sé, vede gli occidentali come una razza meritevole solo di morire e con la quale non si può avere alcun dialogo umano. Sono diffusi anche i doppiogiochisti che durante il giorno affermano di non avere nulla contro nessuno, America ed Europa incluse, ma, quando cala il buio, foraggiano terroristi e tagliagole.

Nessuno più dei conservatori e della destra, ovvero, il luogo da dove proviene la premier Meloni, è cosciente delle tante minacce insite nei Paesi arabi, ma occorre addentrarsi nella complessità del Nord Africa e del Medio Oriente, e se si riesce ad individuare degli interlocutori che non hanno interesse a fare la guerra all’Occidente e sono i primi, a casa loro, a dare la caccia al terrorismo fondamentalista, rifiutando, in sostanza, l’Islam radicale, bisogna investire energie in questo.

Avere, nei limiti del possibile, contatti non conflittuali con almeno alcuni degli esponenti del mondo arabo, è importante per tutto l’Occidente, e in particolare per l’Italia, vista la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Prima dell’Egitto, sono stati presi accordi, all’insegna del beneplacito della Commissione UE, con la Tunisia perché è imperativo un coordinamento continuo fra l’Italia e i Paesi nordafricani per gestire i flussi di immigrazione irregolare, stanare i trafficanti di esseri umani ed arginare il terrorismo islamico.

Il presidente egiziano al-Sisi presenta tutte le caratteristiche necessarie sopra citate per essere una buona controparte. Abdel Fattah al-Sisi è stato colui che ha fermato in Egitto i Fratelli Musulmani il cui radicalismo avrebbe impedito qualsiasi tipo di dialogo con Roma. È sottinteso che al-Sisi non costituisca un modello ideale da seguire, così come sono lontane dal concetto di democrazia liberale le monarchie sunnite del Golfo Persico, con le quali occorre pure parlare, ma determinate aree del pianeta obbligano alla realpolitik di kissingeriana memoria, che, in ogni caso, non costringe a farsi piacere tutto.

Giorgia Meloni, durante le comunicazioni al Senato, ha sottolineato l’impossibilità, per l’Italia e non solo, di trattare ora con la Russia. Perché al-Sisi sì e Vladimir Putin no? Qualcuno si sarà forse posto questa domanda, ma la risposta è semplice da individuare. Fino a non molti anni fa, anche la Russia, considerato inoltre il suo peso internazionale, poteva e doveva essere affrontata con il giusto realismo, senza mai giudicarla naturalmente, al pari degli autoritarismi arabi, come un esempio. La fragile democrazia russa scaturita dal crollo della Unione Sovietica, ha cessato di vivere quasi subito dopo l’avvento di Putin al Cremlino, e tutt’oggi a Mosca non c’è altro che una dittatura, la quale si è specializzata in elezioni farsa.

Credere che il 90 per cento dei russi appoggi Vladimir Putin è un po’ come illudersi della esistenza di Babbo Natale. Ma la realpolitik nei confronti della Federazione russa si è dovuta giocoforza fermare nel momento dell’aggressione militare e della tentata invasione dell’Ucraina. Invece, l’esercito di al-Sisi non ha provato finora a conquistare un’altra Nazione sovrana.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Leggi anche

Articoli correlati