Piano Mattei, Meloni scrive la storia: ecco gli accordi UE-Africa

Undici intese per infrastrutture, agricoltura, digitale e debito. L’Italia guida l’Europa verso un nuovo rapporto con il continente africano.

Roma, Villa Doria Pamphilj. Nella quiete solenne della sede istituzionale più raffinata della Repubblica, l’Italia ha ospitato un vertice che potrebbe segnare una svolta strutturale nei rapporti euro-africani. Undici accordi firmati, una visione condivisa, un investimento complessivo da 1,2 miliardi di euro. Ma soprattutto: un metodo.

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen hanno co-presieduto un summit con al centro l’Africa e il suo ruolo nel nuovo ordine multipolare. Al tavolo, insieme ai vertici della Commissione e del Governo italiano, anche rappresentanti di Angola, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e dell’Unione Africana, oltre a FMI, Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo e Africa Finance Corporation. Attori geopolitici e finanziari, impegnati a costruire un partenariato diverso da quello del passato.

Un approccio strutturale: visione, infrastrutture, strategia

L’Africa, ha dichiarato Meloni, è il continente su cui si gioca “più che altrove il nostro futuro”. L’obiettivo non è offrire assistenza, ma co-progettare sviluppo, puntando su risorse, resilienza e convergenza tecnologica. L’Italia, con il Piano Mattei, e l’Europa, con il Global Gateway, convergono ora su una logica di lungo periodo fondata su quattro direttrici: logistica, digitale, agroalimentare e formazione.

Il fulcro fisico di questa strategia è il Corridoio di Lobito, asse ferroviario e infrastrutturale che collegherà le regioni interne di Angola, Zambia e Congo ai porti sull’Atlantico. Si tratta di un progetto a geometria variabile che coinvolge l’Italia, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, le banche multilaterali e le stesse nazioni africane. Una piattaforma commerciale, certo, ma anche un perno politico per limitare la dipendenza logistica dalla Cina e offrire alternative di sviluppo interno.

Agricoltura, sovranità alimentare e catene del valore locali

Il secondo asse si concentra sull’agricoltura. Qui l’Italia ha scelto un segmento emblematico: il caffè, prodotto identitario dell’Africa orientale, ma spesso svenduto nelle catene globali a basso valore aggiunto. Attraverso l’iniziativa TERRA (Transforming and Empowering Resilient and Responsible Agribusiness), il nostro Paese, con il sostegno dell’Unione Europea, della Cassa Depositi e Prestiti e dell’UNIDO, punta a rilanciare le filiere locali.

La logica è quella del co-sviluppo: investimenti, garanzie, strumenti assicurativi e coinvolgimento del privato per rafforzare la capacità produttiva africana sul posto, evitando l’estrazione del valore a vantaggio altrui. Si tratta, come ha sottolineato la premier, di “proteggere i piccoli produttori” e “rafforzare le catene di valore locali”. In gioco non c’è solo una commodity, ma un modello economico alternativo all’export delle materie prime grezze.

La via digitale e il ruolo dell’Intelligenza Artificiale

Il terzo pilastro guarda al futuro: la connettività digitale e l’intelligenza artificiale. Il cavo sottomarino Blue Raman, co-finanziato dalla Commissione europea e sviluppato da Sparkle, collegherà l’Europa all’Africa orientale, passando per Gibuti, Etiopia, Somalia, Tanzania e Kenya. Il progetto punta a costruire una dorsale infrastrutturale strategica per dati, ricerca e innovazione, connettendo università e centri tecnologici.

Accanto a questo, è stato formalmente avviato l’AI Hub for Sustainable Development, promosso dal Ministero delle Imprese italiano e supportato da Microsoft, UNDP e Commissione europea. Il centro opererà tra Roma e l’Africa, offrendo formazione, accesso a tecnologie emergenti e strumenti di ricerca condivisi. È il segnale più chiaro che l’ambizione non si ferma alle reti fisiche, ma punta a costruire capacità e sovranità digitale in un continente giovane e in piena trasformazione.

Il nodo del debito: convertire passività in sviluppo

Uno dei punti più rilevanti – e meno retorici – del vertice riguarda la questione del debito africano. L’Italia propone un’iniziativa concreta: convertire in dieci anni l’intero ammontare del debito per i Paesi meno sviluppati e ridurre del 50% quello delle nazioni a reddito medio-basso. L’idea è quella di trasformare la zavorra del passato in leva per il futuro, attraverso progetti sul campo finanziati con il valore nominale del debito cancellato. Circa 235 milioni di euro saranno reinvestiti localmente in sviluppo.

È una risposta non ideologica a una realtà strutturale. Il debito, se non affrontato, rende inefficace ogni politica industriale e ambientale. Ma se gestito con strumenti multilaterali e trasparenza, può diventare la base per una crescita solida e autonoma.

Il valore politico: “un patto tra nazioni libere”

Dietro ai numeri e agli accordi, il Piano Mattei esprime una visione. Giorgia Meloni lo ha detto con chiarezza: non un gesto di beneficenza, ma “un patto tra nazioni libere”. Dignità, lavoro e libertà sono le parole-chiave che tengono insieme l’impianto politico e tecnico della strategia. Ecco perché il vertice ha raccolto attori diversi – africani, europei, multilaterali e privati – intorno a un tavolo di pari.

Rispetto alle logiche predatorie che spesso hanno dominato in passato, questo approccio restituisce all’Africa agency, centralità e responsabilità. E offre all’Europa una possibilità di presenza, senza nostalgia coloniale ma con consapevolezza geopolitica.

Verso Bruxelles, con la verifica degli impegni

Il prossimo appuntamento è già fissato: 9-10 ottobre 2025, Global Gateway Forum a Bruxelles. Sarà il momento della verifica, della quantificazione dei progressi, della trasparenza. Ma anche della credibilità di un modello euro-africano che vuole dimostrare che la cooperazione può essere mutualmente vantaggiosa, senza subordinazioni né illusioni.

Il Piano Mattei, nella sua dimensione euro-africana, potrebbe diventare la piattaforma con cui l’Italia si accredita come ponte strategico tra continenti. E se le promesse saranno mantenute, anche come laboratorio di un Occidente che non rinuncia a competere, ma torna a farlo con strumenti politici, civili ed economici.

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Leo Valerio Paggi
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Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

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