Premierato, le critiche della sinistra non stanno in piedi

Tutti ormai lo sanno: la campagna elettorale della sinistra è una caterva di bufale, di mistificazioni o quantomeno di iperboli che alternano sapientemente la percezione della realtà di quegli elettori che, chi per un motivo e chi per un altro, ancora credono nei leader di sinistra. Molte volte non c’è bisogno neppure della confutazione, che è lampante e pacifica. Come nel caso della deriva autoritaria: PD ed Elly Schlein continuano a sostenere che la Meloni stia limitando la “libertà delle persone”. Rispondendo a tono, poi ci spiegheranno cosa vuol dire, ma pare che nessuno sia stato privato di qualche diritto. È poi impazzata per mesi la narrazione di “Tele-Meloni”, con tanto di comunicati dell’Usigrai che ne denunciavano la portata durante i notiziari (che controsenso!). Ma poi è arrivata la presidente della Rai Marcella Soldi a dire che su Scurati non c’era alcun intento censorio: in altre parole, solo uno scrittore rifiutato perché chiedeva il compenso mensile di un operaio per recitare un monologo di un minuto e mezzo.

Capo dello Stato: più poteri e più legittimazione

Le fake news maggiori però sono quelle sul premierato. Maggiori perché quanto più il tema richiede serietà, tanto più la sinistra gioca a fare ostruzionismo, in tutti i modi: in Parlamento, presentando una miriade di emendamenti, talvolta simili, talaltra perfino dal contenuto incostituzionale, al solo fine di rallentare il prosieguo dei lavori; nel dibattito pubblico, rimpinzando l’elettorato di informazioni false. Come quelle sui poteri del Presidente della Repubblica, che, nel racconto della sinistra, dovrebbero essere ridotti dalla riforma. Ma l’elezione diretta del premier è veramente un pericolo per la posizione del Presidente della Repubblica? Secondo la sinistra sì, ma in realtà non è così: i suoi poteri non verranno diminuiti, ma anzi ne risulteranno accresciuti. Per due motivi: il primo è l’eliminazione dell’obbligo della controfirma in molti atti del Capo dello Stato. Controfirma che oggi spetta al Presidente del Consiglio o ai ministri competenti in materia, implicando un controllo politico sulle scelte del Presidente della Repubblica. Invece, con la riforma, in molti casi questo vincolo verrà eliminato, potendo il Capo dello Stato provvedere da solo all’emanazione di determinati atti. Il secondo motivo, poi, è che il Presidente della Repubblica verrà eletto dalle Camere in seduta comune non più con tre votazioni a maggioranza qualificata: le possibilità di eleggere il Capo dello Stato con il quorum dei 2/3 passeranno a sei, potendo contare su maggiori probabilità di eleggere un Presidente legittimato dalla maggioranza dei partiti in Parlamento. In pratica, più poteri e più legittimazione.

Paura del voto e di lavorare

Ma la critica più forte è quella che viene tacitata, nascosta sotto i fiumi di inchiostro spesi per altre accuse pretestuose: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. La base, insomma, della riforma. Una critica che a sua volta cela dietro di sé la dannata paura della sinistra, il voto popolare. In realtà, l’elezione diretta del premier è un bene per il popolo: gli elettori potranno scegliere tra i vari candidati, che paleseranno il loro nome prima del voto (e non dopo); la partitocrazia, il meccanismo con cui il premier viene scelto dai partiti vincitori, anche se in coalizioni opposte, risulterebbe affossata. E ritornando alle parole di Elly Schlein, l’elezione diretta del premier consentirebbe alle persone di avere “più libertà”: la libertà di scegliere il proprio rappresentante al governo sulla base di un programma ben definito, e sarà compito di quest’ultimo metterlo in pratica e ripresentarsi, dopo cinque anni di mandato, davanti all’elettorato per vedere giudicati il proprio impegno e il proprio lavoro. Il voto è la base della democrazia e chi ne ha timore non può definirsi democratico. Non basta dichiararsi tale nel simbolo del proprio partito: un vero democratico capirebbe l’importanza del premierato, capirebbe l’importanza di superare un sistema malsano che rallenta la Nazione dietro crisi extraparlamentari e burocrazia, e si aprirebbe alle porte del dialogo per apportare la propria idea in una riforma che richiederebbe pluralismo e collaborazione. La sinistra capisca questo: la possibilità di restare in carica per cinque anni non è soltanto del centrodestra. Se mai la sinistra – Dio non voglia – riuscirà a vincere delle elezioni, avrà la possibilità di governare per cinque anni ininterrottamente (salvo i loro soliti litigi) e mettere in atto il proprio programma. Ma forse, anche di questo la sinistra ha paura: paura di lavorare seriamente, e di essere giudicata soltanto su questo dai cittadini.

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