Prevenzione, protezione e certezza della pena. Il Governo Meloni combatte così il femminicidio

Femminicidio: Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.

Questa la definizione di uno dei fenomeni che maggiormente colpisce il nostro Paese e che non sembra arrestarsi.
Digitando sul web la parola, compaiono centinaia di risultati che raccontano di episodi di femminicidio in continuo aggiornamento.
Non sempre i casi di femminicidio invadono l’opinione pubblica, essendo il numero talmente elevato da non poter ricevere di volta in volta la giusta attenzione.

Ed è forse questo il dato più drammatico. La “normalità” del fenomeno, la quotidianità con cui esso si verifica. Ma di normale nel femminicidio non c’è nulla.

Il nostro ordinamento non prevede norme che vadano a punire quali autonomi titoli di reato fatti commessi a danno di donne in quanto tali. Certo, già dal 2019 abbiamo il cosiddetto “Codice Rosso”, che ha posto rimedio ad alcune criticità della normativa esistente. Grazie a questa riforma, di cui può avvalersi la vittima, si interviene principalmente in tre direzioni: introducendo nuovi reati, inasprendo le sanzioni per quelli esistenti e disegnando una procedura su misura per tutelare meglio e prima chi viva situazioni a rischio.
Tuttavia, nonostante gli sforzi spesso l’applicazione della normativa, che è tra le più avanzate in Europa, nella realtà vede una serie di criticità, sia in termini di efficacia che di tempestività.

Su questo aspetto il recente DDL Femminicidio approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 7 giugno ha quindi introdotto ulteriori disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica. L’obiettivo è semplice: velocizzare le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza contro le donne o in ambito domestico; rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva e migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.

Il lavoro fatto dal Governo introduce nuove misure giuridiche che combattano questo triste fenomeno, ricorrendo a tutti i mezzi in suo possesso. Un lavoro che si è rivelato essere all’altezza delle richieste e che potrà imprimere un deciso cambio di passo nella materia in cui è intervenuto.

La realtà però è che purtroppo non si tratta solo di una questione giuridica, ma anche e soprattutto culturale.

Un aspetto, questo, da sempre affermato dal partito di Fratelli d’Italia, che anche nel suo programma elettorale poneva come centrale il problema della violenza di genere e della violenza domestica, sottolineando l’importanza di un cambiamento culturale in questo senso. Un cambiamento che deve riguardare, innanzitutto, le nuove generazioni.
Proprio su questo aspetto il Governo non si è limitato ad intervenire nel campo giuridico, ma ha fatto di più. In particolare, è stato annunciato che in autunno il disegno di legge contro la violenza sulle donne verrà diffuso nelle scuole, dove saranno invitati anche coloro che hanno subito violenza per spiegare le conseguenze di tali esperienze. Iniziativa appoggiata e voluta anche dal Presidente del Consiglio, che tra le altre cose, in una sua recente intervista al “Forum in Masseria” ha dichiarato: “In occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne mi piacerebbe portare le vittime, i parenti delle vittime, a raccontare la loro vicenda nelle scuole. Perché una cosa è citare i numeri, un’altra è quando ti trovi di fronte ad una persona come te che ha vissuto certe storie. Niente è più educativo.”

L’impegno della lotta contro la violenza sulle donne deve essere trasversale, deve coinvolgere non solo le istituzioni, ma anche l’intera società civile e i suoi rappresentanti.

È per questo che è importante favorire un dialogo diretto e far emergere le testimonianze delle vittime, soprattutto tra le giovani generazioni.
La dimensione sociale del fenomeno deve essere puntualmente analizzata, anche perché si deve cercare di eliminare quelle cause per cui, troppo spesso, le donne hanno difficoltà nel denunciare: per mancanza di autonomia dal punto di vista economico, per paura, per la presenza di figli e per altre innumerevoli ragioni.
La linea che intende perseguire l’esecutivo si basa su prevenzione, protezione e certezza della pena. Tre pilastri che coinvolgono sinergicamente ogni aspetto della collettività.

Dobbiamo ricordare che il femminicidio è una piaga sociale da combattere con ogni mezzo possibile. Il più alto, il più giusto, il più onorevole a cui ricorrere è però prima di tutto uno: l’educazione.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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