«Quando le nazioni si rialzano, l’Europa si rialza». Intervista a Cristina-Emanuela Dascălu

La Professoressa Cristina-Emanuela Dascălu, deputata AUR di Iași, è emersa come una delle voci più autorevoli del movimento conservatore europeo. Unendo eccellenza accademica e un profondo impegno per la sovranità nazionale, è recentemente intervenuta alla Conferenza Make Europe Great Again di Varsavia, celebrando l’insediamento del presidente eletto della Polonia Karol Nawrocki. In questa conversazione, approfondisce i temi del suo intervento: dalla rinascita dell’Europa sovrana al ruolo della tradizione e della famiglia nella difesa della nostra civiltà.

Cosa rappresenta la vittoria di Karol Nawrocki per l’Europa?


È molto più di una vittoria elettorale: è un punto di svolta in una guerra di civiltà. Nawrocki ha trionfato contro il denaro del globalismo, la burocrazia di Bruxelles e la cultura dell’auto-disprezzo europeo, ridisegnando il panorama geopolitico del continente. Lo chiamo “l’Effetto Nawrocki”: quando un Paese elegge un leader che mette senza esitazioni gli interessi nazionali al primo posto, l’onda d’urto arriva da Berlino a Parigi fino a Washington. Altri Paesi ricordano di avere interessi propri da difendere. È la prova che la leadership autentica porta prosperità: lo zloty è ai massimi da dieci anni, la Borsa di Varsavia segna record e gli investimenti esteri affluiscono in massa.

Ha detto che Bruxelles teme leader come Nawrocki. Perché?


Perché incarna la responsabilità nazionale — ciò che il mio amico Ryszard Czarnecki definisce “l’antidoto alla carenza di responsabilità nazionale in Europa”. Bruxelles teme che un governo conservatore di successo possa smentire la loro narrativa. Il loro incubo è che noi si riesca, perché significherebbe che la richiesta di sovranità si diffonderebbe. E sta già accadendo: basta guardare lo slancio in Romania con George Simion e l’AUR.

Ha tracciato un parallelo tra il momento della Polonia e il risveglio politico della Romania. In che senso?


La Romania è all’inizio della propria rinascita sovranista. George Simion sta applicando il “modello Polonia”: la fiducia culturale alimenta la fiducia economica. Non si limita a parlare: si presenta dove i romeni hanno più bisogno di lui. Da Pechea a Broșteni, ascolta, agisce e guida con empatia e autenticità. Come Nawrocki e il presidente Trump, sa che la leadership è vicinanza alle persone, non al potere.

Nel suo intervento ha collegato la politica conservatrice alla forza intellettuale. Perché è importante?


Perché la sinistra ha monopolizzato la narrativa secondo cui l’intelligenza appartiene a loro. Come donna conservatrice istruita, sono la prova vivente che la raffinatezza intellettuale può — e deve — unirsi ai valori tradizionali. Portiamo precisione analitica, pensiero strategico e chiarezza morale senza chiedere scusa per le nostre convinzioni. Non siamo qui per essere tollerati nel loro sistema; siamo qui per sostituirlo con qualcosa di migliore.

Come si inseriscono letteratura e ricerca accademica in questa visione politica?


Il mio lavoro accademico, come Imaginary Homelands of Writers in Exile, esplora la tensione tra identità e sradicamento. Bruxelles vuole rendere gli europei stranieri nel proprio Paese — esiliati culturali a casa loro. Un esilio di questo tipo produce decadenza, non bellezza. Le mie ricerche dimostrano che la fiducia culturale è direttamente proporzionale alla vitalità di una civiltà. Per questo la sovranità non è solo un obiettivo politico: è una necessità culturale.

Nei suoi interventi ha sottolineato il ruolo centrale della famiglia e della tradizione. Perché inserirlo in un discorso geopolitico?


Perché la civiltà si fonda sui due pilastri di famiglia e tradizione. Il proverbio carpatico dice: “La foresta è la casa dell’anima”. La famiglia è quella foresta: ci dà radici e protezione. Il globalismo e l’iper-modernità stanno erodendo quelle radici. Un’Europa di nazioni deve preservare le proprie tradizioni — polacche, romene, italiane — perché questa diversità è il fondamento della nostra forza.

Qual è la sua opinione sul principio di sussidiarietà nel futuro dell’Europa?


La sussidiarietà significa che le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile alle persone. Un genitore conosce il proprio figlio meglio di un burocrate. Un sindaco conosce la propria città meglio di un ministro lontano. E sì, più ci si avvicina alla gente, più si trova buon senso — e più ci si allontana da Bruxelles, più la democrazia funziona davvero.

La sua visione per l’Europa include cooperazione senza uniformità. Come può funzionare?


Attraverso alleanze volontarie basate sul rispetto reciproco, non sull’integrazione forzata. Lo chiamo il “Nuovo Patto di Varsavia” — questa volta incentrato sulla prosperità e senza Bruxelles. Il vecchio patto imponeva il controllo sovietico; quello nuovo incoraggia la cooperazione sovrana. La Polonia guida, la Romania segue, l’Ungheria sostiene, l’Italia contribuisce, l’America approva. Così si costruisce un’Europa forte e libera.

E la sua previsione per il prossimo futuro della Romania?


George Simion sarà il prossimo presidente della Romania. La formula è semplice: fiducia culturale più competenza economica uguale vittoria elettorale. Quando Polonia e Romania saranno entrambe guidate da governi sovrani, l’Europa centrale diventerà il motore del continente, non la sua periferia.

Qual è il messaggio finale che vuole che gli europei traggano dalla Dichiarazione di Varsavia?


Che siamo a un bivio nella storia. Possiamo scegliere una cooperazione orgogliosa tra nazioni sovrane o la sottomissione a una burocrazia senza volto. La scelta è chiara. Il momento è ora. Il futuro è nostro. Viva la Polonia sovrana, la Romania sovrana e tutte le nazioni europee sovrane. Viva l’Europa libera. Nihil sine Deo.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente in comunicazione strategica, esperto di branding politico e posizionamento internazionale, è autore di 12 libri. Inviato in tutte le campagne elettorali USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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