A Sparta quando non erano perfetti, o robusti come si pensava necessario, li gettavano a mare. Nel Medioevo si lasciava che morissero di fame, freddo, inedia agli angoli delle strade, senza che nessuno se ne facesse carico, o avvertisse il peso morale per quelle morti. E la storia si sarebbe protratta a lungo, magari un po’ meno selvaggia, ma ancora nell’Ottocento i figli dei poveri morivano di stenti e malattie senza che nessuno tra quelli che avrebbero potuto aiutarli, facesse qualcosa.
Poi, per fortuna, ci siamo evoluti, almeno alle nostra latitudini. E così finalmente i nostri figli sono diventati oggetto di amore, cure, considerazione. A parte malaugurate eccezioni. Ma si sa, le eccezioni ci sono sempre, e sono tali quando sono poche, anzi pochissime. Solo che sarà l’informazione ormai capillare, sarà che ai media non sfugge più niente, e che le notizie arrivano a getto continuo a casa di chiunque, che queste “eccezioni” cominciano ad essere sempre più frequenti. Troppo. Ormai non si riesce più ad aprire un quotidiano o a guardare un TG senza che non passi una notizia di un bambino picchiato, o massacrato, o addirittura ucciso dai suoi stessi genitori a volte in modi in cui la crudeltà va oltre se stessa. E se in tanti casi la motivazione potrebbe essere la follia, agghiaccia ancora di più quando la motivazione non sembra nemmeno esistere. “Lo ucciso, sì, perché ero nervoso. Piangeva e non mi faceva dormire”. Un po’ come spegnere una radio. Click e cade il silenzio, e il bambino è lì, nel suo angoletto, rannicchiato in maniera fetale come quando è venuto al mondo. Soltanto che ora è morto.
Qualche volta c’è anche il colpo di fortuna e il bambino si salva, anche si porterà per sempre incise nella carne e più ancora nella mente le atrocità che ha dovuto subire spesso da chi per primo avrebbe dovuto proteggerlo.
E’ di ieri la notizia di due egiziani arrestati un attimo prima che lasciassero l’Italia con 4 dei loro 5 figli. La quinta, una bambina di 3 anni e mezzo affetta da un deficit cognitivo è ricoverata in ospedale, un braccio rotto con una frattura scomposta, ecchimosi in tutto il corpo, tracce di altre fratture vecchie, che si sono ricomposte da sé. A condurla in ospedale sua madre, 29 anni come il marito. Aveva sostenuto che la bimba fosse caduta dal lettino e che probabilmente aveva un braccio rotto poi, dopo averla consegnata ai medici, se ne era andata tranquilla a casa sua.
Naturalmente, la situazione drammatica che doveva aver vissuto la piccina era immediatamente saltata agli occhi dei pediatri del nosocomio che avevano segnalato i fatti alle forze dell’ordine. Messi sotto controllo i cellulari dei due genitori, dalle conversazioni usciva fuori uno spaccato di orrore difficile da digerire anche per gli uomini dell’Arma che con le brutture della vita sono spesso a contatto. “Odio mia figlia, ho un rifiuto per lei. Mi conosci, annegherò lei o la picchierò di continuo. Non sopporto la sua voce, brutta scimmia. Faccio finta di darle da mangiare, ma intanto la pizzico”. Queste sono le parole della mamma della piccola, intercettate. Sta parlando con il papà della ragazzina. I due sono in Italia dal 2010, e vivono nei palazzoni occupati in zona San Siro, non molto lontano dove il 22 maggio scorso Alijca Hrustic ha ucciso a botte il suo bambino di due anni.
Nel caso dei due egiziani, madre e padre sembrano essere sulla stessa lunghezza d’onda quando parlano della piccola. Parla ancora mamma: “Sono stanca, e ho picchiato … (fa il nome di altri due figli), per colpa sua. Mi conosci, la picchierò di continuo, l’annegherò…” poi, ancora non paga: “Ho fatto cose bruttissime che non puoi immaginare alla scimmia, le ho pure rotto il braccio, L’ho picchiata a morte. Lei capisce, lei sa tutto, ma è furba e viziata”. La parola passa a papà, che non si tira indietro: “Allora l’ammazzo io”. Mamma insiste. “No, ci penso io. Le metto il veleno dentro il mangiare. Le ho già fatto di tutto, alla scimmia, ma niente. Prova a starci un po’, così capisci cosa passo con lei. La scimmia è un grosso problema. Ho voglia di mangiarmela viva. Non sopporto la sua voce, brutta scimmia, è una grande merda!”, sbotta, ma il marito ha la soluzione pronta: “Portala in bagno, strangolala subito. Chiudi il suo naso, così non respirerà più fino alla fine”.
Per fortuna la fine c’è stata, ma non è quella prevista da questi due indegni individui. Probabilmente, torturavano la piccina fin dalla sua nascita, visto che le sono state individuate almeno altre 15 vecchie fratture. Come questo esserino minuscolo e massacrato sia riuscito a resistere, e a sopravvivere, resta un mistero anche per i medici. Ma probabilmente sono un mistero anche i suoi genitori. Un mistero del male, dove crudeltà si somma a crudeltà, dove bruttura si aggiunge a bruttura. E dove non esiste giustificazione.
Ora, probabilmente, gli avvocati che accetteranno di difenderli, cercheranno di giocarsi la carta dell’infermità mentale, o altre scemenze simili, forse perché è davvero terribile dover riconoscere che un uomo e una donna, un padre e una madre possano arrivare a tanto in coscienza di sé.