“Cinquant’anni fa dopo 47 giorni di agonia si spegneva la vita di un giovane diciannovenne, Sergio Ramelli, vigliaccamente aggredito da un commando di Avanguardia operaia. Assassinato perché aveva idee diverse, perché credeva e amava la propria Patria senza avere paura di dirlo. Per questo si iscrisse al Fronte della Gioventù. E anche per questo fu ucciso. Ma Sergio iniziò a morire prima di quel 29 aprile del 1975, prima delle sprangate, quando per le sue idee fu isolato, perseguitato, discriminato senza che nessuno osasse opporsi a tutto ciò. Una sorte che toccò a tanti in quel periodo solo che Ramelli non fu fortunato, perché poi la morte arrivò per davvero. A 50 anni di distanza quel brutale omicidio ci parla ancora e ci racconta di una stagione di odio e di violenza, dove i morti non erano tutti uguali, ma ne esistevano di serie A e di serie B, dove davanti alla legge non tutti erano giudicati allo stesso modo e dove i silenzi e le omertà garantivano impunità assoluta. A Sergio Ramelli toccò vivere tutto questo. Oggi lo ricordiamo, come facciamo ogni anno, perché il suo sacrificio non resti vano e sia monito per le nuove generazioni affinché non torni quella stagione in cui si poteva morire per le proprie idee. Perché erano diverse. La morte di Sergio Ramelli diventi, quindi, un simbolo di libertà. Sarebbe il miglior modo per ricordare quel ragazzo così violentemente strappato alla vita”.
Lo dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Galeazzo Bignami.