Recovery Fund, donne e giovani: serve un approccio globale e non settoriale

I giovani e le donne sono le due categorie sociali più menzionate in qualsiasi programma di ripresa economica che si rispetti. Il Recovery Fund voluto dal Parlamento italiano non è da meno e pone al centro del suo assetto questi due segmenti della società, occupandosi ovviamente anche di altre questioni.

Da diverso tempo, è pratica diffusa all’interno degli esecutivi che si sono succeduti nel tempo, parlare di giovani e donne come soggetti da tutelare in maniera rafforzata rispetto ad altri individui, aprendo così ad un approccio settoriale della società e del Paese che si intende rappresentare.

In alcuni casi e in alcuni progetti di ripresa produttiva, i più deboli – donne e giovani giustappunto – vengono solamente citati e menzionati ma mai veramente tutelati in maniera completa e compiuta.

Ma siamo certi che un approccio parziale allo sviluppo della società sia migliore di una visione accresciuta della stessa? Ci troviamo di fronte a quello che Sabino Cassese ha definito “diritto globale” parlando di un universo anche finanziario che si sviluppa oltre lo Stato o abbiamo a che fare con singoli pezzetti di un microcosmo sociale?

La questione appena accennata si pone con forza all’interno del dibattito corrente e punta a definire i contorni di uno Stato che appare sempre più minacciato da ingerenze esterne: fenomeni migratori non controllati, mancanza di sicurezza interna e politiche pubbliche volte a valorizzare gli ultimi arrivati. Che per carità vanno difesi.

Ma perché non proporre invece di incentivare chi – e ci riferiamo al caso italiano – fa impresa affrontando numerose difficoltà e non già chi vuole campare di aiuti e sussidi pubblici?

A proposito di sussidi. Oltre ai giovani e alle donne, un’altra categoria sempre menzionata in questi progetti di sviluppo economico è quella del Meridione. Il ministro Carfagna ha parlato di ingenti quantità di denaro pubblico destinate al Sud, denaro che – in questa visione dove lo statalismo malato è preponderante – dovrebbe risollevare le sorti sciagurate di questa parte d’Italia.

Tutte queste categorie menzionate avrebbero dunque bisogno di tutela in via del tutto settoriale e non globale. Un assetto di questo tipo però finirebbe per segmentare la società e la nazione nel suo complesso. Dire questo non significa certo proporre un azzardo; di fronte alle spinte centripete di oggi che mirano a frazionare l’Italia in tanti piccoli centri da controllare, andrebbe proposta una visione completa dello Stato e della realtà sociale, in cui il singolo va tutelato non in quanto slegato da un contesto più ampio di appartenenza ma in quanto soggetto attivo di un universo in continua evoluzione.

Proporre questo non rimanda ad una utopia. Rimanda piuttosto al buonsenso e ai principi fondativi della civiltà occidentale. Cambiare si può, basta che il cambiamento sia partecipato da tutti e non da spezzoni sociali privi di guide e di punti di riferimento.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Ros Etta
Ros Etta
Angelica Stramazzi (Anagni, 1986), giornalista pubblicista. Ha studiato Scienze Politiche presso la Luiss "Guido Carli" di Roma; attualmente iscritta al corso di laurea in Relazioni internazionali per lo sviluppo economico (Universitas Mercatorum), scrive di politica da oltre dieci anni. Collabora con il mensile Il Monocolo e diverse testate online.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Leggi anche

Articoli correlati