«Reddito minimo e reddito di cittadinanza rispondono a due presupposti differenti: il primo è correlato ad un’attività lavorativa; il secondo costituisce un sussidio. Considerarli come sinonimi, non fa che aumentare la confusione nelle persone e distogliere l’attenzione da quello che di concreto si sta facendo per chi è in condizioni di fragilità».
Lo afferma l’europarlamentare di Fratelli d’Italia-ECR, Nicola Procaccini rispondendo alle dichiarazioni degli europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Laura Ferrara e Mario Furore.
“Nessun cambio di posizione, quindi, rispetto a quanto espresso in occasione del Consiglio Epsco dello scorso 8 dicembre, relativamente alla “Raccomandazione su un reddito minimo adeguato che garantisca l’inclusione attiva”. In quell’occasione – continua Procaccini – il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone, ha affermato la volontà in Italia di dare avvio a una riforma che assicuri condizioni di vita dignitose alle persone più in difficoltà e fragili, predisponendo per coloro che possono lavorare misure specifiche per reintegrarsi nel mondo del lavoro attraverso politiche attive del lavoro. In altre parole, nella direzione in cui il Ministero sta lavorando: da una parte il sostegno per coloro che non possono lavorare, dall’altra la riforma delle politiche attive all’interno delle quali attivare percorsi per la riqualificazione e la ricollocazione dei percettori di Reddito di Cittadinanza “occupabili”.
Veramente mi sembra che si stia facendo non poca confusione. Il “reddito minimo” o “reddito di base” non è altro che un reddito di ultima istanza identico al nostro “reddito di cittadinanza, che va a coloro che sono disoccupati e caduti in povertà, non è altro che un sussidio (che ha nomi differenti nei vari Paesi Ue) e va anche ad integrare lo stipendio di lavoratori poveri. Il ‘salario minimo orario” invece è uno strumento del tutto differente che va a determinare la paga minima orario di coloro che non sono coperti da contratti collettivi nazionali.