Referendum 2025, affluenza flop: gli italiani bocciano la sinistra

Alle 19 solo il 16,2% alle urne: fallisce la mobilitazione delle opposizioni. Il quorum si allontana e il popolo resta con il governo

A urne ancora aperte, ma con i dati già inequivocabili, il verdetto politico si profila chiaro: gli italiani non hanno risposto all’appello delle opposizioni. Il dato di affluenza registrato alle ore 19 di domenica 8 giugno — appena il 16,2% — certifica una realtà che neanche l’intera giornata di lunedì potrà ribaltare: il quorum non sarà raggiunto. E con esso crolla la narrazione di chi sperava di trasformare i referendum in un processo politico contro Giorgia Meloni.Le urne chiuderanno lunedì alle 15, ma è ormai evidente che si andrà verso una partecipazione finale tra il 20 e il 25%, ben lontana dalla soglia del 50% + 1 necessaria per la validità. Non si tratta solo di un dato tecnico. È un dato politico, e dice che la spallata tentata da Elly Schlein, Giuseppe Conte, Maurizio Landini, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli non è riuscita.

Cinque referendum, zero quorum: una débâcle a sinistraIl fronte del “Sì”, trainato dalla CGIL con il sostegno dichiarato di PD, M5S, AVS e una parte residuale di Italia Viva, puntava tutto su cinque quesiti che spaziavano dal Jobs Act ai contratti a termine, dalle tutele contro i licenziamenti alla sicurezza nei subappalti. Ma al di là del merito tecnico, l’operazione era evidentemente politica: raccogliere milioni di voti contro il governo Meloni e creare un effetto domino in vista delle Europee.La narrazione si è però infranta su un dato testardo: il popolo non ha seguito la chiamata. Mentre le opposizioni parlavano di “plebiscito democratico”, la maggioranza degli italiani ha scelto consapevolmente l’astensione, delegittimando nei fatti l’iniziativa.

Quando il boomerang ritorna: il caso Landini & SchleinMaurizio Landini, segretario della CGIL, aveva trasformato i referendum in un referendum contro il governo. Elly Schlein aveva rilanciato: “Andiamo a votare per fermare la precarietà e la destra padronale”. Giuseppe Conte si era spinto oltre: “Se vince il Sì, il governo dovrebbe trarne le conseguenze”.Ora le conseguenze — semmai — le trarranno loro. Perché un’affluenza sotto il 25% non è solo una sconfitta giuridica, ma una disfatta politica. Chi chiama il popolo alla mobilitazione e viene ignorato deve fare i conti con la propria irrilevanza. Le parole d’ordine della sinistra — giustizia sociale, lavoro dignitoso, diritti — sono rimaste senza eco. O peggio: percepite come strumentali e pretestuose.

Il governo Meloni resta saldo. Ed è l’opposizione a dover cambiareLa premier Giorgia Meloni ha scelto di recarsi al seggio senza ritirare le schede, esercitando il diritto all’astensione attiva. Una scelta chiara, che ha disinnescato la trappola politica e rilanciato la legittimità del governo come interprete del consenso popolare.Chi parlava di “plebiscito sul governo” dovrà ora riconoscere che la sfiducia, semmai, è tornata al mittente. Il fronte referendario esce diviso (con Renzi e Calenda schierati contro), demotivato e incapace di portare a votare persino il proprio elettorato. È il segnale che il popolo italiano non vuole essere usato come clava politica, soprattutto da chi non rappresenta più nulla.

Senza quorum, senza popolo.

A questo punto, non resta che certificare ciò che i numeri già dicono: il referendum non passerà. Ma il dato più grave per le opposizioni non è la sconfitta nei numeri, bensì quella nei cuori e nelle menti degli italiani. Perché chi non riesce a mobilitare il popolo non può governarlo, né tantomeno rappresentarlo.Mentre la sinistra cercava il ribaltone referendario, gli italiani hanno scelto la stabilità. E con essa, hanno confermato — ancora una volta — la fiducia nel governo in carica.

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