L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque referendum abrogativi, quattro sul lavoro (promossi dalla CGIL contro il Jobs Act) e uno sulla cittadinanza (riduzione da 10 a 5 anni di residenza). Tuttavia, a catalizzare l’attenzione non sono tanto i quesiti, quanto la decisione del centrodestra di invitare all’astensione, una mossa che ha scatenato le ire delle opposizioni di sinistra. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, hanno definito il non voto una “scelta politica legittima”, scatenando un coro di accuse da parte di PD, CGIL, Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle. Ma la veemenza delle critiche, condite da termini come “sabotaggio” e “malattia della democrazia”, sembra dimenticare un dettaglio: la sinistra non è estranea all’astensione dal voto nei referendum.
Landini, Bonelli e Fratoianni: il dramma della democrazia
Maurizio Landini, segretario della CGIL, ha definito l’invito all’astensione “grave e pericoloso”, sottolineando come il voto sia “l’essenza della democrazia”. Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, leader di Alleanza Verdi-Sinistra, hanno rincarato la dose, parlando di “boicottaggio” e “destra irrispettosa della democrazia”. Elly Schlein, segretaria del PD, ha insistito sull’importanza di partecipare per “difendere la dignità del lavoro”. Persino Riccardo Magi di +Europa ha accusato il Ministro degli Esteri Tajani di offendere il Presidente Mattarella, che il 25 aprile ha invocato la lotta all’astensionismo. Parole forti, che dipingono il centrodestra come un nemico della partecipazione popolare. Ma il fervore moralista di questi leader sembra scontrarsi con un passato non troppo lontano.
Il precedente delle trivelle: quando il PD diceva “non votate”
Correva l’aprile 2016, e il referendum sulle trivelle (per abrogare norme che consentivano il rinnovo delle concessioni di estrazione entro le 12 miglia marine). Il PD, allora guidato da Matteo Renzi, non solo si schierò per l’astensione, ma la difese come una scelta “sacrosanta e legittima”. Matteo Orfini, presidente del partito, sottolineava che l’astensione fosse “uno strumento naturale” per un referendum con quorum. Il referendum fu definito “inutile” e “costoso” da esponenti come Debora Serracchiani, e persino Giorgio Napolitano ne appoggiò l’astensione, criticando l’“inconsistenza” del quesito. Il quorum non fu raggiunto, e il PD festeggiò. Oggi, quegli stessi che gridano allo scandalo sembrano aver dimenticato quella lezione.
2009: Fratoianni e l’astensione sulla legge elettorale
Non è solo il PD ad avere la memoria corta. Nel 2009, tre referendum sulla legge elettorale (il “Porcellum”) miravano a rafforzare il bipartitismo. Sinistra e Libertà, formazione in cui già militava Nicola Fratoianni, e Rifondazione Comunista invitarono apertamente all’astensione. “Il referendum deve fallire attraverso la non partecipazione al voto o il rifiuto della scheda”, una posizione chiara, che contribuì al mancato raggiungimento del quorum (affluenza al 23%). Fratoianni, oggi paladino della partecipazione, non sembra ricordare quel passato, preferendo accusare il centrodestra di tradire la democrazia. Una coerenza che lascia perplessi, per usare un eufemismo.
Una sinistra dalla memoria selettiva
La sinistra italiana sembra soffrire di una curiosa amnesia quando si tratta di referendum. Nel 2003, i Democratici di Sinistra (DS) invitarono all’astensione sul referendum per estendere l’articolo 18 alle piccole imprese, considerandolo “divisivo”. Nel 2022, sul referendum sulla giustizia, il PD di Enrico Letta lasciò libertà di voto, ma molti esponenti, insieme al M5S, puntarono sull’astensione per evitare il quorum. Ogni volta, l’astensione è stata giustificata come una strategia politica, esattamente come fa oggi il centrodestra. Eppure, le accuse di “cultura antidemocratica” piovono solo quando a non votare sono gli avversari. È un doppio standard che farebbe sorridere, se non fosse così palese.
Un dibattito ipocrita o un’occasione mancata?
L’astensione, piaccia o no, è una tattica contemplata dall’articolo 75 della Costituzione, che richiede il quorum per i referendum abrogativi, così come ha anche ricordato quest’oggi il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Sen. Alberto Balboni. Accusare il centrodestra di “malattia democratica” mentre si ignorano i propri precedenti è un esercizio di ipocrisia che non aiuta il dibattito. Piuttosto che gridare allo scandalo, la sinistra farebbe meglio a chiedersi perché i referendum del 2025 stentino a scaldare i cuori degli italiani, con una campagna che, secondo i sondaggi, fatica a decollare. Forse, invece di puntare il dito, sarebbe utile un po’ di autocritica. O, almeno, un buon promemoria per rinfrescare la memoria.