Crescono i salari contrattuali e cala la quota dei lavoratori in attesa di rinnovo. Merito della stabilizzazione inflattiva e delle politiche fiscali del governo Meloni.
Il dato di partenza: +3,5% nei primi sei mesi
Secondo il rapporto Cisl pubblicato dal Sole 24 Ore, nel primo semestre 2025 le retribuzioni contrattuali sono cresciute del +3,5%, con una stima Istat di +3,1% anche per la seconda metà dell’anno. Un risultato che va letto in parallelo con l’aumento della copertura contrattuale nel settore privato: al 30 giugno sono oltre 9,5 milioni i lavoratori coinvolti nei rinnovi, pari al 65% del monte retributivo, in crescita rispetto al 56% di fine 2024.
Un dato non solo statistico, ma politico: laddove i governi precedenti hanno spesso rinviato le scelte, l’attuale esecutivo ha favorito con decisione la stagione dei rinnovi, sostenendo la contrattazione e alleggerendo i costi con misure fiscali mirate.
Il quadro Istat: salari nominali in salita, reali in recupero
L’Istat conferma il trend: nel marzo 2025 l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è cresciuto del +4,0% su base annua, con incrementi più forti nell’industria (+4,9%) e nei servizi privati (+4,3%). Certo, il settore pubblico resta indietro (+1,7%), ma il recupero complessivo è evidente.
Non solo: dopo anni di erosione, i salari reali hanno registrato nel 2024 un aumento del +2,3%, insufficiente a chiudere il “buco” accumulato ma segnale che la curva si sta invertendo. La perdita tra 2019 e 2024 è stata pesante (-10,5% per le retribuzioni contrattuali, -4,4% per le retribuzioni lorde di fatto), ma senza l’azione combinata di taglio del cuneo fiscale e incentivi mirati la discesa sarebbe proseguita.
La forza della Melonomics: politiche fiscali e lavoro stabile
Gli effetti concreti delle scelte del governo Meloni si leggono nei numeri medi: un incremento nominale annuo stimato in 3.718 euro (+285 euro al mese), che per i redditi più bassi vale +2.503 euro (+192 al mese).
Dietro questi dati ci sono due pilastri:
- Taglio del cuneo fiscale e riduzione delle aliquote IRPEF, che hanno messo più soldi nelle buste paga.
- Rinnovi contrattuali rapidi e diffusi, che hanno riportato la copertura al 65%, riducendo al 28,1% la quota di lavoratori in attesa di contratto (era 32,6% a maggio).
Il risultato è un riequilibrio: mentre i settori come l’energia elettrica corrono (+6,7%), altri rallentano, ma l’insieme si muove nella stessa direzione. Una dinamica resa possibile dalla cornice di stabilizzazione economica garantita dal governo.
Un gap che resta, ma una direzione chiara
Il divario con l’inflazione cumulata resta ampio: circa 9 punti percentuali. È il frutto di anni di rincari che hanno colpito duramente le famiglie, soprattutto quelle con redditi bassi. Ma se nel passato il divario tendeva ad allargarsi, oggi si restringe.
È qui che la “Melonomics” mostra il suo valore: non come bacchetta magica, ma come strategia di medio periodo che unisce stabilizzazione macroeconomica, sostegno al lavoro produttivo e attenzione alle famiglie.
Numeri contro narrazioni
Le opposizioni parlano di salari fermi e di perdita di potere d’acquisto, ma i dati raccontano un’altra storia: retribuzioni in crescita, rinnovi in accelerazione, misure fiscali che fanno la differenza. Certo, il cammino non è concluso, e il nodo della produttività resta centrale. Ma rispetto al buio del 2022-2023, il segnale è netto: l’Italia si muove nella direzione giusta, e la bussola porta il nome di Giorgia Meloni.