Riforme, i lavori procedono spediti: novità anti-inciucio, al voto se il governo cade

Proseguono a ritmo serrato le trattative sulla riforma costituzionale fortemente voluta da Fratelli d’Italia. Il fine più volte dichiarato è quello di donare stabilità ai governi futuri, in un’ottica di ottimizzazione delle politiche di lungo periodo che un governo può attuare (favorite sicuramente da una maggiore stabilità) e in virtù di una maggiore credibilità italiana nei consessi internazionali. Una riforma in pratica che può veramente cambiare le sorti della Nazione, eliminando la possibilità di inciuci di palazzo post-elezioni. Non a caso le critiche alla riforma arrivano proprio dai partiti che più hanno giovato dell’attuale sistema di nomina dei governi: si è espressa in merito anche Elly Schlein al tutt’altro che brulicante convengo PD presso la lussuosa spa di Gubbio, parlando di una manovra che “indebolisce il Parlamento, indebolisce i poteri del presidente della Repubblica” e accusando la maggioranza di “mentire sapendo di mentire”.

Al di là di facili critiche, il lavoro del centrodestra va avanti: tra una settimana è fissato il termine massimo per la presentazione degli emendamenti. Secondo le fonti, giovedì si è tenuto un confronto tra Giorgia Meloni, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il ministro Ciriani, i capigruppo Foti e Malan e il presidente della commissione Affari costituzionali al Senato Alberto Balboni: l’ipotesi più accreditata è il ritorno al ‘simul stabunt simul cadent’, formula – fanno sapere da Fratelli d’Italia – già presente nel programma elettorale del partito, la “prima scelta di Fratelli d’Italia”. Cancellando così il profilo che fin qui ha avuto la riforma con la cosiddetta norma “anti-ribaltone” voluta dalla Lega, secondo la quale nel caso di un governo dimissionario verrebbe nominato un nuovo Presidente del Consiglio proveniente dalla maggioranza parlamentare, l’emendamento di Fratelli d’Italia vuole ristabilire che in caso di caduta del governo, si tornerebbe direttamente alle urne. Sarebbe questa una norma che eviterebbe il tecnicismo degli esecutivi che ha avuto diffusa applicazione negli ultimi anni, mancando vere maggioranze. Tra le altre proposte, si parla di un limite di due mandati al capo del governo, l’elezione del premier col 50% più uno dei voti, l’eliminazione del premio di maggioranza del 55% dei seggi, ferme restando la soglia minima e la fiducia di entrambe le Camere.

Va avanti dunque il lavoro sulle riforme costituzionali, in particolare su premierato e Autonomia differenziata, che vanno essenzialmente di pari passi e che necessitano entrambe di un’unione della maggioranza che c’è e non mancherà. Martedì il voto al Senato per l’Autonomia, col via libera per la discussione conclusiva alla Camera. Più lunghi i tempi, data la complessità della materia, per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio: sempre al Senato riprenderà con decisione la discussione in Commissione, con la votazione del testo base mercoledì. Il 29 gennaio sarà il termine massimo per gli emendamenti. Sono fiduciose le voci che arrivano dal centrodestra: come dichiarato dal ministro Casellati ad Affariitaliani.it, “è l’auspicio della maggioranza” arrivare al voto al Senato entro la primavera.

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