Sara Kelany: «Grazie al Governo Meloni l’Italia cambia passo sull’immigrazione»

Chi legge La Voce del Patriota la conosce bene: Sara Kelany non è solo un volto noto, è una colonna storica del nostro giornale, dove ha contribuito a costruire una narrazione politica chiara, coraggiosa e radicata nei valori dell’identità. Oggi è deputato della Repubblica, ma senza mai smettere di essere una militante. Anzi, il suo ingresso in Parlamento ha rafforzato quella vocazione che, da sempre, accompagna lei e tutta quella “Generazione Atreju” che, al fianco di Giorgia Meloni, ha costruito Fratelli d’Italia partendo dalla trincea.

Sara è l’esempio perfetto di cosa significhi “fare politica” con coerenza: visione chiara, radici solide, linguaggio diretto e risultati concreti. In questa intervista non parla una professionista della retorica, ma una donna, una professionista e una mamma che combatte ogni giorno per ciò in cui crede.

Onorevole Kelany, in queste settimane sta attraversando l’Italia per presentare la “Carta dei Doveri” per gli immigrati. Qual è il significato politico di questa proposta e cosa prevede concretamente?


Stiamo portando avanti una campagna nazionale che abbiamo voluto intitolare “Prima di tutto i doveri”, perché troppo spesso, in passato, si è pensato che fosse sufficiente accogliere chiunque, senza pretendere nulla in cambio. Si è parlato soltanto di diritti, come se il solo fatto di arrivare in Italia fosse sufficiente per godere di ogni tutela. La nostra proposta di legge interviene sul decreto legislativo 25 del 2008, introducendo una Carta dei Doveri da consegnare a ogni immigrato al momento dell’ingresso sul territorio nazionale. Non un richiamo generico, ma un documento giuridicamente vincolante, che stabilisce cosa ci si aspetta da chi viene accolto: rispetto delle leggi italiane, rifiuto di ogni forma di violenza e discriminazione, tutela della donna e parità di genere. E, cosa fondamentale, si prevede che la violazione di questi principi comporti conseguenze concrete, come la revoca della protezione internazionale o il respingimento.

Dopo anni di immobilismo, il Governo Meloni ha ottenuto risultati tangibili nella gestione dell’immigrazione. Quali sono i dati che certificano questo cambio di passo?


Il cambiamento è evidente. Grazie a una strategia fondata su quattro pilastri – controllo delle frontiere, lotta agli scafisti, accordi con i Paesi di origine ed esternalizzazione della gestione dei flussi – stiamo finalmente ottenendo risultati. Nel 2024 gli sbarchi sono calati del 60% rispetto all’anno precedente, mentre le espulsioni sono aumentate del 30%, e nei primi tre mesi del 2025 abbiamo già registrato un ulteriore +16%. Frontex, l’Agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, ha certificato un dato storico: -80% delle partenze dalla rotta del Mediterraneo Centrale. Non parliamo di percezioni o opinioni: parliamo di numeri, frutto di un lavoro sistemico che sta cambiando il volto della gestione migratoria italiana ed europea. Risultati che è possibile approfondire scaricando il pamphlet (clicca qui per leggerlo) che abbiamo preparato con il Dipartimento Immigrazione di Fratelli d’Italia.

Gli accordi con Paesi come Tunisia, Albania ed Egitto segnano una svolta nella politica estera dell’Italia. Qual è oggi il ruolo del nostro Paese in Europa su questo tema?


Oggi l’Italia non è più spettatrice: è protagonista. Il Governo Meloni ha rilanciato la politica estera italiana nel Mediterraneo, stringendo accordi strategici con Tunisia, Libia, Egitto e Albania, che stanno trasformando il modo stesso in cui l’Europa affronta il fenomeno migratorio.
L’accordo con la Tunisia, firmato da Ursula von der Leyen e il presidente Saied, è stato reso possibile grazie alla mediazione decisiva del presidente Meloni. Lo stesso vale per l’intesa con l’Albania, che prevede l’esternalizzazione delle procedure di gestione dei flussi migratori irregolari. E ancora, l’Egitto, coinvolto nel Piano Mattei, e la Libia, con cui stiamo rafforzando la cooperazione. Tutto questo dimostra che avere una leadership autorevole fa la differenza.
In Europa oggi si guarda all’Italia come a un modello, dopo anni in cui eravamo marginali o subalterni.

La sinistra e gran parte dei media continuano a raccontare l’immigrazione con una narrazione ideologica e spesso distorta. Quanto pesa questa disinformazione sulla percezione dell’opinione pubblica?


Molto meno di quanto si pensi. I cittadini sono molto più consapevoli di quanto venga raccontato nei talk show. Hanno occhi per vedere, e capiscono perfettamente chi lavora per il bene del Paese e chi fa propaganda ideologica. Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni con il 26%: oggi siamo oltre il 30%. Nonostante la narrativa di certa stampa e dei soliti ambienti, il nostro consenso cresce, perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La sinistra e i suoi megafoni mediatici provano a criminalizzare ogni posizione che non sia il loro pensiero unico, ma i cittadini ci premiano proprio perché vedono nella nostra azione serietà, concretezza e coerenza.

Nel dibattito pubblico si parla molto di accoglienza, ma poco di regole. Perché è fondamentale, secondo lei, rimettere al centro legalità, sicurezza e doveri?


È fondamentale perché i cittadini ci chiedono sicurezza e rispetto della legalità. La Carta dei diritti fondamentali dell’Uomo, all’articolo 3, afferma: «Ogni persona ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona». Garantire questi diritti significa anche richiedere il rispetto delle regole da parte di chi arriva nel nostro Paese. La sicurezza non è un privilegio o uno slogan da campagna elettorale, ma un diritto fondamentale che deve essere tutelato. Ogni cittadino ha diritto a sentirsi sicuro, e ogni comunità ha il diritto di essere protetta. Il nostro compito è restituire ordine a un sistema che per anni è stato lasciato all’anarchia. Lo facciamo tutelando chi ha bisogno e contrastando chi abusa. La sicurezza è giustizia sociale, è tutela dei più deboli, è rispetto delle regole. Non è autoritarismo, è responsabilità. Ed è ciò che ci chiedono ogni giorno milioni di italiani.

Il concetto di integrazione è spesso banalizzato. Che cosa significa davvero, e quali sono le condizioni perché sia possibile?


Integrazione non significa semplicemente ottenere un documento o imparare la lingua. Significa aderire consapevolmente a un modello culturale, giuridico e valoriale. Noi siamo una civiltà millenaria, eredi della cultura giudaico-cristiana, fondatori dell’Occidente. Non possiamo accettare che venga messa tra parentesi in nome di un mondialismo che non ha regole. Solo chi riconosce e rispetta le nostre radici può essere integrato. Altrimenti si rischia la ghettizzazione, la tensione, la disgregazione. Per questo serve chiarezza: non possiamo pretendere che gli altri ci rispettino se per primi dimentichiamo chi siamo.

Ha citato spesso Gandhi: «È dall’Himalaya dei doveri che nasce il Gange dei diritti». Perché sente così attuale questa frase?


Perché riassume perfettamente il senso della nostra battaglia culturale e politica. Senza doveri non ci sono diritti. Senza responsabilità non esiste libertà. Gandhi non può certo essere accusato di autoritarismo, eppure parlava di doveri come fondamento della giustizia. Oggi questa è una verità controcorrente, ma necessaria: dobbiamo avere il coraggio di dirla, senza timori e senza complessi. Chi vuole vivere in Italia deve sapere che qui i diritti non si ricevono per automatismo, ma si conquistano nel rispetto delle regole e della civiltà che ci ha resi ciò che siamo.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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