Niko Pandetta, neo melodico catanese molto apprezzato nel napoletano, improvvisa il 24 dicembre, un concerto non autorizzato a Fisciano, in provincia di Salerno, ed ha la brillante idea di fare una dedica ai detenuti in regime di 41 bis, in buona sostanza ai mafiosi e ai camorristi condannati al carcere duro, augurando loro “una presta libertà”, da godere nel calore della famiglia.
Sbirciando sul suo profilo Facebook si alternano immagini di ostentata opulenza, di lui seduto sul cofano di una potente e costosa Audi r8, di lui tatuato anche sulle orecchie con improbabili catene d’oro da dieci kili, di lui carico di buste colme e griffatissime e aria strafottente.
Anche solo ad uno sguardo superficiale, dunque, un pessimo modello, che ad una disamina più approfondita appare peggio di quello che sembra.
Chi è, infatti, questo campione di imbecillità?
È un uomo condannato in primo grado nel luglio di quest’anno a 6 anni di reclusione per spaccio di cocaina, in un processo che deriva da un’inchiesta del 2017 che ha visto coinvolto un gruppo di narcotrafficanti ritenuti vicini al clan Cappello. È il nipote, peraltro, del capomafia Turi Cappello, boss dell’omonimo clan, uomo con un pedigree criminale di tutto rispetto, legato alla stidda e oggi ergastolano a Sassari.
E da questo quadro non poteva che venir fuori quella dedica ignobile. Un inchino alla mafia ed allo schifo indegno che quel mondo rappresenta. È grave, non è da sottovalutare, non può essere relegato nella sfera del folklore, perché è un messaggio lanciato alle folle. Basti pensare che a Natale questo uomo si vantava di aver avuto più visualizzazioni di Zalone, oltrepassando con il suo ultimo singolo un milione di contatti YouTube. E allora, dato tutto ciò, speriamo che almeno la sua casa discografica di dissoci e lo lasci solo a propalare questi messaggi di morte e si ribadisca a voce stentorea, gridando al cielo, quello che ci diceva Impastato: la mafia è una montagna di merda.