Se tutto è vero, nulla lo è più: viaggio nel cuore del pensiero liquido

Esiste qualcosa come la Verità? Da un po’ di tempo a questa parte, una questione che ha attraversato secoli di pensiero filosofico sembra essere chiusa, e la risposta che ha prevalso è quella negativa: non esiste qualcosa come la Verità, ma esistono le verità. Il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il naturale e l’artefatto sono concetti variabili e intercambiabili: la verità, di cui in fondo giustizia e natura non sono che specifiche manifestazioni, dipenderebbe da “punti di vista”, in base ai quali ciò che è vero, giusto, naturale può essere legittimamente considerato da qualcuno falso, ingiusto, artefatto, e viceversa. A vincere è la percezione: la mia attività conoscitiva non deve più adeguarsi mediante la ragione a una realtà oggettiva che in larga parte la eccede e che rispetto a essa è autonoma, irriducibile. È vero solo ciò che il singolo individuo percepisce. E se si danno contraddizioni? Poco importa: sono tutte vere allo stesso tempo. Così io posso sentirmi un po’ uomo e un po’ donna (infischiandomene della biologia); vicino alle istanze di occupa abusivamente immobili e pronto a difendere, al contempo, il mio personale patrimonio immobiliare; femminista convinto ma, se un mostro sacro del progressismo tira i capelli a una giornalista dopo aver posto una domanda che lo ha indispettito, disposto a derubricare la sua aggressione a «paternalismo e pedagogismo»; vicino alle comunità islamiche (anche le più integraliste) e, al contempo, pronto a dichiarare la mia militanza nella “comunità LGBT”. Tutto ciò sembra folle alle persone assennate? Non c’è da stupirsi: la contraddizione germoglia nella follia, nell’assenza di salute spirituale, prima ancora che mentale. 

Questa situazione è il frutto di una concezione ben precisa della realtà: il relativismo. L’enorme successo del relativismo è da imputare a quella tendenza che, a partire da Descartes e nel corso di tutta la speculazione moderna, ha gradatamente imposto un interesse esclusivo per l’io, cioè per il soggetto posto al centro della conoscenza della natura. Questa tendenza raggiungerà il suo culmine con il prospettivismo nietzscheano, un’evoluzione del relativismo “classico”: il soggetto, ormai saldamente al centro della conoscenza dopo aver “ucciso” Dio (leggi ‘la Verità’), ha smesso di aspirare a conoscere e si volge verso l’interpretazione. Oggi la verità non si conosce più, si crea. La tecnica, allora, prende il posto della natura e diventa la nuova fonte da cui attingere tutti i significati: se la verità, anziché darsi in natura, si genera mediante un atto creativo, ciò che rende possibile la creazione diventa la sede di qualsiasi verità, o in altre parole, l’unico orizzonte metafisico che possa essere concepito, il solo in grado di conferire un senso al mondo. Ecco che i distruttori della metafisica (Dio, Verità, Logica, Assoluto) non hanno distrutto proprio un bel niente: hanno – più o meno inconsapevolmente – sostituito le certezze della vecchia metafisica con le illusioni di quella nuova, la tecnica, che, ormai sfuggita al controllo dell’uomo, gli fa credere che tutto sia una sua creazione, una sua costruzione fisica e mentale. Heidegger chiarisce bene proprio questo punto nella Questione della tecnica (1954): «Sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che se stesso», quando «proprio se stesso l’uomo di oggi non incontra più in nessun luogo; non incontra più, cioè, la sua essenza», sfociando irrimediabilmente nel nichilismo. 

Oggi la distruzione dei valori passa necessariamente per la distruzione della logica. Ecco perché la questione politica non può prescindere da quella teoretica (altro che filosofia come “tempo perso”): difendere la nostra identità, oggi, significa difendere il principio d’identità (A = A). Questo principio è una conseguenza necessaria del principio di non contraddizione (A non può essere contemporaneamente B): difendere l’identità, allora, non può voler dire altro che combattere la contraddizione, la follia. E conoscere secondo verità significa che il pensiero si identifica – correttamente – con la realtà che ci circonda. A far emergere nel modo più efficace questi princìpi a fondamento del vero fu Aristotele, che tanta influenza ebbe sul pensiero e sulla filosofia in Occidente fino alle soglie dell’era moderna (fino a Descartes, per l’appunto). Il problema della verità, infatti, affonda le sue radici negli albori della civiltà occidentale, al tempo dei Greci, e fu Aristotele a offrire la risposta più convincente contro gli “antenati” dei relativisti odierni, i sofisti.

Esiste qualcosa come la Verità? Se pensiamo a una risposta affermativa, allora ripartiamo dalle origini: da chi ha già affrontato questo potente avversario, che oggi si ripresenta più forte che mai.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.