Abbiamo spesso sentito parlare di politici che, una volta eletti in Parlamento, si rovinano con le proprie mani gettandosi in manfrine illegali e in altri problemi con la giustizia. Ecco, la sinistra è riuscita nell’impresa di candidare, e far eleggere, una persona che già aveva avuto guai con la giustizia.
Un modello da (non) seguire
4 condanne e 29 denunce gravano, come è ormai noto, sulla fedina penale di Ilaria Salis, che nel duo Bonelli Fratoianni è riuscita trovare una di quelle carte “imprevisti” che sbucano giocando a Monopoli: una via preferenziale per uscire di prigione anzitempo. Ilaria si era cacciata nei guai oltre confine, in Ungheria, accusata di aver preso a botte una persona, un militante di estrema destra. Ed è bastato questo per far comparire il proprio nome sulle liste di Alleanza Verdi e Sinistra e per far avvicinare quella massa di persone che, su consiglio del professor Christian Raimo, vorrebbero “picchiare i neonazisti”, ma sono impossibilitati dalla legge, consci del fatto che l’occasione che ha avuto la Salis capita una sola volta per generazione. Non si esclude, però, un peggioramento della situazione: come a dire, la Salis era accusata di aver picchiato un tizio ed è entrata nell’Europarlamento, perché non posso farlo io? Oppure: lei faceva cose illegali ed è stata salvata dalla politica, ergo delinquere è una strada per trovare una sistemazione. Ecco, insomma, cattivi maestri non solo dietro le cattedre, ma anche come modelli da seguire.
“Sì, lo confesso!”
Il fatto curioso è che ieri la nuova europarlamentare di Avs ha rivendicato il suo passato. In effetti, tacitarlo sarebbe stato sbagliato, e forse non avrebbe fruttato tanti consensi. Ma almeno rinnegarlo, una volta eletta, fare mea culpa e ammettere di essere caduti in errore, avrebbe fatto capire che il passato è passato e certe cose non vanno fatte. E invece no, la Salis si crogiola nel suo passato fatto di denunce e reati, spesso non gravi. Con un post sui suoi profili social, l’eroina della lotta contro i nazisti del terzo millennio, ha pubblicato una lunga lettera in cui affronta il tema della questione abitativa in merito agli alloggi popolari. L’intento era quello di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, rivolgendo ai “media di destra” una risposta all’accusa rivoltale (senza “scrupolo” – lei recrimina – “il giorno prima delle elezioni”) in merito alla sua occupazione e al suo mancato pagamento di un alloggio popolare a Milano. “Sì, lo confesso!”, inizia la lettera, spiegando a tutti di aver fatto parte, neppure troppo tempo fa, di un movimento, uno di quelli composti dai centri sociali più rossi, che si “occupava” proprio di questo: con l’intento dichiarato di fare giustizia, occupava case popolari destinate ad altri, a chi ne aveva realmente diritto. E lei, la Salis, in questo contesto pareva starci proprio bene: come i suoi compagni, anche lei ha occupato abusivamente un alloggio riservato ad altri, e ora si ritrova, ancora oggi, con un debito di 90mila euro nei confronti dell’Aler, l’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale Milano.
Il diritto morale di violare la legge
“Sarebbe auspicabile che l’informazione, piuttosto che gettare fango sul mio conto, si dedicasse al contesto di grave povertà e precarietà abitativa nel quale si ritrovano ampie fasce della popolazione”, fa sapere l’attivista, che si descrive quasi come una vittima della pratica di “richiedere esose “indennità di occupazione” agli inquilini” basandosi su “presupposti a dir poco incerti”. Per lei, “una strategia utilizzata sistematicamente per spaventare gli occupanti e tentare di fare cassa”. In un certo senso, sembra quasi (vogliamo essere cauti) che la Salis appoggi e giustifichi chi occupa un alloggio, una vittima del sistema che usufruisce di una sorta di diritto morale di violare la legge. D’altronde, su questo si è basata la sua campagna elettorale: fare tutto ciò che è possibile, di legale e di illegale, per fermare l’avanzata nera in Europa. Ci auguriamo due cose: la prima è che la Salis, forte di uno stipendio da parlamentare, la smetta con questa vita di “eccessi e sregolatezze”; la seconda è che, proprio col suo nuovo stipendio garantito per cinque anni, saldi i 90mila euro di debito con Aler, se non altro per favorire il sistema di assegnazione di alloggi popolari per chi ne ha veramente diritto. Ora è in Parlamento e, se vorrà, potrà portarvi tutte le questioni che ritiene più importanti, anche quella della dignità abitativa, che sembra starle proprio a cuore.