Silvia Salis, la Kamala Harris del PD

Kamala chi? Fino alle elezioni i media mainstream ce l’avevano venduta come una leader globale. Oggi, a distanza di pochi mesi, se la sono già scordata. È la parabola di Kamala Harris, il prodotto politico perfetto per la comunicazione patinata: immagine curata, retorica calibrata, standing costruito a tavolino. Peccato che, tolta la confezione, rimanesse poco o nulla.

Nel laboratorio del PD fervono i lavori. Non per trovare una visione comune – quella non c’è mai stata – ma per costruire un nuovo volto da incollare sui manifesti del 2027. Elly Schlein, quella che doveva cavalcare l’onda woke e far sognare il popolo progressista, è ormai acqua passata: percepita come comunicativamente inefficace e politicamente divisiva, incapace di mettere insieme una coalizione che sta in piedi solo se si appoggia a un nemico.

Del resto, la sinistra italiana vive così da decenni: non “per qualcosa”, ma “contro qualcuno”. Ieri era Berlusconi, oggi è Giorgia Meloni. E quando hanno vinto, sono caduti in pochi mesi. L’unico che è riuscito a farsi Palazzo Chigi per più di un’ora, Matteo Renzi, ci è arrivato senza passare dalle urne.

Adesso il nuovo giocattolo si chiama Silvia Salis: ex atleta olimpica, cattolica, femminista, madre e sindaco di Genova dal 2025. Fascino indubbio, femminilità ostentata, look rassicurante: tutto quello che Schlein non ha e che, nella politica-spettacolo, vale oro. Franceschini e Renzi lo sanno bene: serve una Kamala Harris de’ noantri, bella presenza per mascherare un curriculum politico che si scrive in tre righe.

La vittoria a Genova col 51,5% è stata subito incorniciata come la prova che “può unire tutti”: dai renziani ai grillini, passando per i reduci dell’Ulivo. La verità è che, dietro la patina, l’operazione è la solita: un’alleanza accrocchiata, senza progetto, venduta come “il nuovo” per coprire il vecchio.

Peccato che di fronte ci sia Giorgia Meloni, che il suo curriculum se l’è scritto centimetro dopo centimetro. Partita dalle sezioni di partito, si è conquistata il ruolo di premier con una coerenza e una determinazione che hanno asfaltato lo spauracchio fascista e il “con noi o con Putin” del 2022.

E poi ci sono i numeri, che non sono un’opinione: in due anni ha portato l’occupazione al record storico del 63% (quella femminile al 54,2%), creato oltre un milione di posti di lavoro, abbassato la disoccupazione giovanile di quasi 7 punti, riportato il PIL sopra i livelli pre-crisi del 2008, ridotto gli sbarchi del 57% e aumentato i rimpatri del 30%. Risultati concreti, non slogan da conferenza stampa.

Salis, per ora, è un’idea più che una leader. A Genova ha già lasciato deleghe pesanti al vicesindaco e ha brillato per qualche assenza in momenti chiave. Ma al PD questo non interessa: per loro basta che sorrida bene in foto e faccia la diretta TikTok al momento giusto.

Il rischio? Che finisca come Kamala Harris: idolatrata al debutto, ignorata appena la gente si accorge che dietro il trucco non c’è molto altro. Tanto, per battere Meloni, non basta essere “instagrammabili”, bisogna saper governare. E lì, per la sinistra, cominciano i dolori.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente in comunicazione strategica, esperto di branding politico e posizionamento internazionale, è autore di 12 libri. Inviato in tutte le campagne elettorali USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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