La sinistra italiana ha un nuovo idolo. Dopo aver esaurito la lista dei propri eroi nazionali, ora punta lo sguardo oltre i confini e si innamora del premier spagnolo Pedro Sánchez. Leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), Sánchez viene osannato come baluardo progressista e punto di riferimento contro le “derive autoritarie” della destra europea. Peccato che, nel frattempo, in Spagna sia diventato una figura sempre più impopolare e invischiata in scandali.
In questi giorni il governo spagnolo è travolto da quella che molti giornali iberici definiscono una vera e propria “Tangentopoli”. Gli scandali che coinvolgono uomini vicinissimi a Sánchez stanno erodendo quel poco di consenso rimasto, mentre la popolazione chiede a gran voce nuove elezioni. Il caso più clamoroso riguarda Santos Cerdán, ex braccio destro del premier, arrestato con accuse pesantissime: corruzione, associazione a delinquere e traffico di influenze. Cerdán era uno degli uomini più vicini al premier, considerato un pilastro del suo cerchio magico e detentore del terzo incarico più importante nel PSOE.
Secondo le inchieste, Cerdán sarebbe stato il perno di un sistema di corruzione basato sul pagamento di tangenti per ottenere appalti pubblici, in particolare quelli gestiti dal Ministero dei Trasporti, ai tempi in cui il titolare del dicastero era José Luis Ábalos (2018-2021), anche lui oggi indagato. A completare il quadro, l’ombra di Koldo García, collaboratore di Ábalos e presunto intermediario di queste operazioni illecite. Una rete tentacolare di potere, appalti e favori che ha fatto esplodere il malcontento degli spagnoli, stanchi e indignati.
Eppure, Pedro Sánchez non intende dimettersi. Anzi, sostiene che sarebbe “estremamente irresponsabile” lasciare il Paese nelle mani della destra. Tradotto: anche di fronte a uno tsunami politico e giudiziario, l’unica cosa che conta è non far vincere chi non la pensa come lui.
Ecco, allora, che la sinistra italiana guarda a Sánchez come un faro. I motivi? L’approvazione del matrimonio egualitario, l’uso sistematico della retorica anti-destra, l’ostilità verso Orbán e Meloni, l’adesione a istanze progressiste su gender, immigrazione e diritti sociali. E poco importa se il Paese è nel caos, se i tribunali sono pieni, se i cittadini scendono in piazza. L’importante è che sia “uno dei loro”. Uno che sa parlare la lingua dell’élite progressista, uno che – pur non essendo indagato – si aggrappa al potere – o meglio, alla poltrona – con l’alibi del “pericolo della destra”.
Evidentemente, questo è il modello ideale della sinistra italiana: un premier impopolare, difensore del pensiero unico, circondato da scandali giudiziari, ma tenacemente attaccato alla poltrona. È un copione già visto: anche da noi, quando le urne bocciavano la sinistra, si scatenavano giochi di palazzo, governi tecnici, larghe intese e appelli alla “responsabilità” – purché il Centro-Destra restasse fuori dalla stanza dei bottoni.
Ma se davvero la sinistra italiana pensa di ripartire idolatrando Pedro Sánchez, la sua crisi è più profonda del previsto. Gli spagnoli vogliono voltare pagina. I sondaggi parlano chiaro: la destra vola, il PSOE affonda. Il popolo non ascolta più le narrazioni costruite a tavolino. Vuole trasparenza, responsabilità e rispetto per la volontà popolare. E chi è al governo, pur non essendo formalmente accusato, deve rispondere politicamente per ciò che avviene nel proprio entourage.
In questo scenario, il sostegno della sinistra italiana a Sánchez non è solo un gesto fuori tempo. È un segnale di totale disconnessione dalla realtà, un’ulteriore conferma dell’incapacità di leggere i bisogni reali degli elettori. Nel frattempo, i cittadini osservano, e votano. Forse proprio per questo, la sinistra italiana cerca nuovi palcoscenici lontano da casa (abbiamo visto pochi giorni fa la trasferta di Elly al Pride Ungherese): perché qui, ormai, le piazze (di sinistra) sono sempre più vuote.