Da ragazzino, mentre tiravo le prime palline sulla terra rossa, sognavo di vedere un italiano alzare un trofeo importante. Ricordo ancora l’emozione dell’impresa sfiorata da Omar Camporese contro Boris Becker agli Australian Open del 1991: una di quelle partite che ti fanno credere che tutto sia possibile.
Poi arrivarono Andrea Gaudenzi, le battaglie epiche di Coppa Davis raccontate dalla voce inconfondibile di Giampiero Galeazzi, e una generazione di tennisti italiani – Pescosolido, Nargiso, Volandri, Seppi, Caratti, Paolino Canè – che ci hanno fatto sperare, ma mai abbastanza da toccare il cielo.
E naturalmente, i commenti di Rino Tommasi e Gianni Clerici, che trasformavano ogni match in un racconto epico, quasi mitologico.
Gli anni passavano, e il nostro momento sembrava non arrivare mai. Americani, spagnoli, tedeschi, addirittura un brasiliano come Kuerten: tutti vincevano, tranne noi.
Certo, tifavo anche per i grandi campioni stranieri. Ho amato Pete Sampras e Roger Federer – per me, i più grandi di sempre. Ho pianto leggendo Open di Agassi, un libro che mi ha fatto capire quanto il tennis sia, prima di tutto, una battaglia con sé stessi.
Ma il cuore, in fondo, ha sempre battuto per un italiano capace di cambiare la storia.
E poi, è arrivato Jannik Sinner.
Ancora oggi, guardandolo, faccio fatica a crederci. Non è solo lui, certo: tutta la nuova generazione di italiani – Musetti, Berrettini, Sonego – sta riscrivendo la storia del nostro tennis. Ma Sinner è diverso. Ha classe, testa, la stoffa del campione che emerge quando conta davvero ed un grande avversario come Alcaraz. E soprattutto, è umile. Non si lascia sedurre dal mainstream o dal politicamente corretto: resta sé stesso, non ostenta. Insomma, Jannik è l’opposto dei personaggi da quattro soldi esaltati dai media, e per questo mi piace da matti.
Poco fa, quando ha alzato la coppa di Wimbledon, ero lì, davanti alla tv, con mia figlia accanto. Guardavo quella scena e pensavo a quando avevo la sua età, tifando per italiani che non vincevano mai, mentre il mio Como arrancava in Serie C.
Oggi, con Sinner sul tetto del mondo e il Como che punta all’Europa, mi sembra di sognare a occhi aperti e, sinceramente, non ho nessuna voglia di svegliarmi.