Il divenire dei tempi reca con sé esigenze di riforma, anche al fine di conservare al meglio i valori organizzativi del nostro vivere associato. Emblema del mutamento, sul versante più alto delle fonti del diritto, è il potere costituente, unito all’essenziale corollario del potere di revisione costituzionale.
Spesso sui giornali o in TV ci si ritrova a discutere delle proposte di modifica costituzionale che di periodo in periodo si radicano in seno all’opinione pubblica, ma il cosiddetto mainstream mediatico più di qualche volta dimentica una regola fondamentale per il galateo della ragionevolezza politica. Prima di entrare nel merito di ogni idea riformatrice, sarebbe utile riflettere sulle ragioni profonde del potere politico nel suo farsi nuovo ordine giuridico. Per me questa dovrebbe essere una regola aurea.
Per meditare sul potere di fare e modificare le Costituzioni, inizierei a raccontare qualcosa di storia del pensiero costituzionale.
La dottrina pubblicistica dagli anni Quaranta del XX secolo, fino ad oggi, su questi temi si confronta (anche) con il pensiero scientifico di Costantino Mortati. A tale giurista si deve infatti la riflessione sulla “costituzione in senso materiale”. Quest’ultima coinciderebbe con il nucleo fondamentale che identifica l’ordinamento di un sistema politico, e quindi i valori e gli interessi promossi dalle forze dominanti in un dato momento storico, all’interno di un determinato territorio nazionale. La celebre opera mortatiana in cui apparve questa consapevolezza sistemica è La Costituzione in senso materiale, pubblicata nel 1940.
Egli era cosciente dell’esistenza di una zona grigia del diritto costituzionale: in essa la dimensione politica e quella giuridica finivano per condizionarsi. Secondo il giurista e storico Giacomo Perticone, sulla base di questa consapevolezza, Mortati attribuiva grande rilievo alla condizione storica dello Stato di massa, in cui gli elementi sociali e culturali rivestivano ruoli portanti. Già in una sua opera del 1910, scritta a soli diciannove anni e intitolata La giovine Calabria, d’altronde, egli aveva attribuito un forte peso all’organizzazione delle masse nelle associazioni, e in particolare in seno ai partiti politici.
Il debutto democratico delle masse nella storia istituzionale dell’Italia, attraverso gli istituti della democrazia rappresentativa, aveva avviato un oggettivo salto in avanti per la salute democratica del Paese, tra gli alti e bassi delle divergenti stagioni politiche. In questo senso, ed all’interno delle sopra esposte sensibilità dottrinali, si potrebbe salutare il giovanissimo Mortati dell’inizio degli anni Dieci del XX secolo quale un antesignano di quello che successivamente, nella Costituzione repubblicana del 1948, sarebbe stato il diritto di libera associazione.
A metà degli anni Quaranta, invece, Mortati maturò un peculiare realismo giuridico, nel quale lo studioso è riuscito ad intersecare l’universo dei princìpi del diritto pubblico con il mondo concreto dei rapporti di forza. Ogni studioso pragmatico è immerso nelle pagine sociopolitiche del proprio tempo, da cui ed entro cui focalizza uno sguardo su ciò che politicamente esiste, nonché su ciò che giuridicamente vige.
Mortati è stato un fine pensatore del potere costituente. Il momento in cui tale potere si sarebbe espresso, secondo lui, avrebbe rappresentato un tempo di rottura corrispondente ad una rigenerazione radicale della classe dirigente, e in particolare politica.
Nella sua visione il potere costituente non è privo di limiti, mentre il potere di revisione costituzionale è soggetto alle condizioni statuite dall’ordine normativo, da cui la stessa revisionabilità risulta scaturita.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, la sua critica nei confronti dei soggetti politici allora più rilevanti risultava sempre più marcata, giungendo a ritenere che il sistema politico-costituzionale stesse iniziando ad avvitarsi su di sé. Nel gennaio del 1973 intervenne all’interno di un dibattito promosso dalla rivista Gli Stati, proponendo il rafforzamento delle capacità d’azione dei governi, l’elezione contestuale e diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Parlamento. Mortati, in ogni caso, manifestò la sua fedeltà filosofica alla forma di governo parlamentare, e ad un’idea di sovranità popolare basata sui partiti politici, non sull’unità indistinta (e astratta) di popolo.
Ai tempi del governo Meloni, di fronte alla riforma del premierato patrio, molti di coloro che nell’elogiare l’eredità dottrinaria di Mortati si stracciavano le vesti sembrano aver perso la memoria su quell’idea di eleggibilità diretta del Presidente del Consiglio. Ma in tutta franchezza il presente articolo si pone l’umile intento di spolverare le memorie, semplicemente, dalle dottrine alla realtà.