È di ieri la notizia che la Commissione Europea abbia proposto il taglio dei fondi coesione destinati a Budapest, per un importo di circa 7,5 miliardi di euro. Per l’Europa, “il rischio posto al budget UE nel quadro delle violazioni allo stato di diritto permane, nonostante le misure promesse dal governo di Budapest di sistemare i problemi indicati dalla Commissione”, questa la motivazione ufficiale.
La decisione arriva pochi giorni dopo l’approvazione nella plenaria di Strasburgo del Rapporto Delbos-Corfiled (dal nome dell’eurodeputata dei Verdi che ne ha curato la redazione), nel quale si definisce Budapest come una “minaccia sistemica ai valori contenuti nell’articolo 2 del trattato Ue” e si condannano “gli sforzi deliberati e sistematici del governo ungherese per minare questi valori fondanti“. Nel rapporto si esprime “rammarico per il fatto che la mancanza di un’azione decisiva da parte dell’Ue abbia contribuito al crollo della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria, trasformando uno dei suoi Stati membri in un regime ibrido di autocrazia elettorale“. In estrema sintesi, secondo il rapporto Delbos-Corfield l’Ungheria di Orbàn sarebbe una “autocrazia elettorale”, nella quale non sarebbero rispettati i diritti delle minoranze e le libertà fondamentali. Il testo è stato approvato con i voti contrari dei gruppi ECR e ID.
Il Premier Orban aveva inizialmente definito “uno scherzo” la risoluzione, salvo fare marcia indietro davanti la minaccia della Commissione di chiudere i rubinetti all’Ungheria.
Per la stampa vicina al Governo ungherese, il problema risiederebbe soprattutto nelle forze presenti nel Parlamento Europeo. Negli ultimi giorni, infatti, prima della notizia della decisione della CE di tagliare i fondi previsti per Budapest, la stampa ungherese parlava di “notevoli progressi con la Commissione”, a seguito dell’accettazione della proposta avanzata dalla CE su punti specifici riguardanti l’investimento dei fondi europei per l’indipendenza energetica e un più attento controllo delle procedure per prevenire – anche in sede giudiziale – la corruzione.
L’Ungheria non è nuova agli attacchi di Bruxelles. Il governo magiaro era già stato colpito dalle dure critiche della maggioranza del Parlamento UE in due precedenti documenti, il Rapporto Tavares del 2013 e il Rapporto Sargentini del 2018.
Secondo la stampa ungherese, gli attacchi più duri al Governo Orban sarebbero iniziati in seguito alla crisi migratoria del 2015, quando l’Ungheria ha detto no all’immigrazione clandestina. La legge sull’asilo conteneva, secondo l’UE, la previsione di azioni in violazione dei diritti umani, come ad esempio la detenzione dei richiedenti asilo fino al termine della procedura. Anche la normativa per il finanziamento alle ONG è finita sotto l’esame di Bruxelles, poiché sembrava voler limitare o bloccare l’attività delle organizzazioni che si occupano di diritti e di migranti. L’Ungheria ha ribadito in più sedi che non permetterà politiche migratorie senza controlli, che minino la stabilità e la sicurezza del Popolo ungherese.
Un’ulteriore contestazione riguardava la libertà accademica, dopo le misure stringenti volute da Orban per il controllo delle università straniere, come ad esempio la Central European University di George Soros, ritenuto dal governo ungherese un nemico della Nazione e dei Popoli europei.
Gli attacchi si sono nuovamente intensificati dopo l’adozione della Legge sull’inasprimento dell’azione contro i pedofili e la modifica di alcune leggi per proteggere i bambini, firmata dal Presidente Orban nel mese di giugno 2021, nonostante le dure critiche ricevute dall’Unione Europea e da alcuni Stati membri.
La legge proibisce ogni propaganda, dialogo e informazione, scolastica e d’altro genere, a favore dell’omosessualità: “al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini, la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a sé stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni”. Il Governo di Orban sostiene che la legge riguardi la protezione dei minori. La legge regola solo l’accesso a certi contenuti “sensibili o dannosi da parte dei minori”, secondo quanto sostenuto dagli ungheresi. Non riguarda la comunicazione degli adulti. La legge non influisce in alcun modo sull’auto-espressione degli individui, secondo i promulgatori. Per Budapest, la legge protegge altresì il diritto dei genitori di assicurare l’educazione e l’insegnamento dei loro figli in conformità con le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, diritto sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La legge, in nessun modo, si applica ai diritti relativi all’orientamento sessuale dei maggiorenni, quindi non contiene alcun elemento discriminatorio, secondo il Presidente Orban. La nuova normativa prevede, infine, che solo le persone e le organizzazioni elencate in un registro ufficiale, preparato dal governo, possano svolgere lezioni di educazione sessuale nelle scuole, per evitare l’accesso a quelle che il governo considera “organizzazioni con dubbia formazione professionale, spesso stabilite per la rappresentazione di specifici orientamenti sessuali”. L’esclusione delle organizzazioni del mondo LGBT è stata interpretata come una limitazione della libertà e come una discriminazione.
Colpito dalle polemiche sulla legge per la protezione dei minori, comunemente conosciuta all’estero come legge anti LGBT, il Governo Orban ha deciso di organizzare un referendum per lasciare al Popolo ungherese la possibilità di esprimersi in merito alle norme contestate. Il 3 aprile 2022, i cittadini ungheresi sono stati chiamati alle urne, sia per le elezioni politiche (vinte da Orban per il quarto mandato consecutivo), sia per il referendum. Per gli oppositori del governo e per le organizzazioni LGBT i quesiti referendari sono stati scritti in modo da “pilotare” le risposte dei cittadini. Ciononostante, il referendum è risultato nullo per la mancanza del quorum minimo necessario. Per il Governo di Budapest, questa è stata comunque una vittoria, poiché circa il 95% di coloro che hanno espresso un voto valido hanno votato “no”.
Ora Budapest è nel mirino di Bruxelles in materia di giustizia e corruzione, poiché per l’UE l’Ungheria non farebbe abbastanza per combattere malaffare e clientelismo, con l’aggravante di una magistratura sempre più dipendente dal potere politico. A lungo il Governo magiaro ha rimandato al mittente le accuse, continuando a sostenere l’imparzialità dei giudici e ilo rispetto della divisione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura.
Un braccio di ferro, quello tra Budapest e Bruxelles, che sembra essere arrivato ad una svolta nelle scorse ore quando, a seguito della decisione presa dalla Commissione Europea di procedere con il blocco del 65% dei fondi destinati all’Ungheria, secondo quanto riportato da La Press, Orban avrebbe ceduto alle richieste: il Ministro della presidenza del Consiglio ungherese, Gergely Gulyas ha, infatti, subito dichiarato che il Governo ha accettato le proposte ed entro novembre istituirà un dipartimento anticorruzione e un gruppo di lavoro con le organizzazioni non governative per supervisionare la spesa dei fondi dell’UE. “Il governo ha accettato le richieste della Commissione europea, o nelle aree in cui non potevamo accettarle siamo riusciti a raggiungere un compromesso soddisfacente per entrambe le parti”, ha dichiarato Gulyas ai giornalisti. “Invece della sfiducia reciproca, la serie costruttiva di negoziati con la Commissione negli ultimi due mesi può essere vista come un passo verso la fiducia reciproca”, ha concluso il Ministro.
Fermo restando che lo Stato di diritto è un valore fondamentale per tutti gli Stati membri, non si può non evidenziare che il concetto generale subisce delle interpretazioni sostanziali a causa delle diverse tradizioni giuridiche presenti in Europa. Secondo le forze politiche che hanno votato contro l’approvazione, il Rapporto Delbos-Corfiled (che ha dato il via alla decisione di bloccare i fondi al governo di Budapest), si basa su opinioni soggettive e dichiarazioni politicamente distorte, riflette preoccupazioni vaghe e giudizi di valore. In tutta la relazione, per i Gruppi contrari al report, il relatore denuncia la “situazione generale dello Stato di diritto” senza riuscire a dimostrare alcuna violazione concreta. Il documento è stato, dunque, interpretato come l’ennesimo tentativo dei partiti politici europei federalisti di attaccare l’Ungheria e il suo governo cristiano-democratico e conservatore per motivi ideologici. L’Ungheria sarebbe continuo bersaglio di attacchi infondati di natura prettamente politica solo perché difende la sovranità e l’indipendenza degli Stati, quale principio alla base della cooperazione europea.
La battaglia sul futuro dell’Europa continua.