Stop motori termici: Grazie all’Italia l’Europa torna alla ragione

Stiamo uscendo faticosamente dalla dipendenza energetica dalla Russia putiniana, e vogliamo proprio ora piegarci alla schiavitù orchestrata da un'altra dittatura, quella comunista di Pechino?

Per fortuna, esistono anche gli errori ai quali è possibile porre rimedio in tempo, prima di causare danni ingenti. Il regolamento approvato il 14 febbraio scorso dal Parlamento europeo, che di fatto imponeva il blocco della produzione, in tutta la Unione europea, di auto e veicoli commerciali a benzina e gasolio a partire dal 2035, ha subìto uno stop importante, forse definitivo.

La sola legiferazione dell’Europarlamento non è sufficiente e la fine della produzione di motori termici nella Ue e della immatricolazione di auto nuove a benzina e diesel avrebbe dovuto passare attraverso una decisione dell’assemblea degli ambasciatori degli Stati membri della Unione. Decisione che è stata rinviata a data da destinarsi. Tale rinvio si è reso necessario perché alcuni Paesi Ue, in primis l’Italia, ma anche Germania, Polonia e Bulgaria, hanno espresso la loro contrarietà ad un fermo integrale dei motori a combustione. Si è arrivati a questo grazie soprattutto alla fermezza dell’Italia, rappresentata, oltre che dalla premier Giorgia Meloni, dal ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso.

La Germania, la cui coalizione di governo è divisa fra liberali, contrari allo stop assoluto dei motori termici, e Spd, (socialdemocratici), e Verdi invece favorevoli, era dapprima interprete di una posizione altalenante, ma, una volta preso atto della risolutezza italiana, divenuta concreta con il nuovo Governo Meloni, che crede in una transizione ecologica ragionata e non ideologica, anche Berlino ha dato un parere netto. Con il rinvio “a data da destinarsi” l’Europa non sta mettendo nel dimenticatoio l’impegno di ridurre progressivamente le emissioni di Co2, ma sta dicendo in sostanza di voler procedere ad una transizione ecologica più pragmatica di quella prevista dal regolamento approvato dall’Europarlamento, di essere intenzionata ad esplorare soluzioni anche circa i biocarburanti, che producono bassissime emissioni, senza consegnarsi così ad una mobilità interamente elettrica, e, aspetto molto importante, di voler lasciare i vari Stati membri liberi di programmarsi il futuro in assenza di imposizioni cieche e dirigistiche.

Il Vecchio Continente si è accorto di una deriva perlopiù ideologica e parecchio autolesionista, ed è tornato alla ragione. Precludersi qualsiasi utilizzo dei motori termici significa dover fare ricorso soltanto a veicoli completamente elettrici, ma a tutti i livelli: dall’auto privata ai mezzi commerciali e da lavoro, sino ad arrivare al trasporto merci su gomma, nazionale ed internazionale.

Affidarsi solo alla batteria per muovere merci e persone vuole dire andare verso una serie di giganteschi problemi e disagi pratici, che solo coloro i quali sono accecati dalla ideologia green non riescono a vedere. Si parla dell’auto elettrica da alcuni anni ormai, ma proprio i fautori di questo tipo di mobilità, anche quando hanno avuto oppure hanno responsabilità di governo qua e là in Europa, non sono mai riusciti ad eliminare buona parte di quegli ostacoli che tutt’oggi impediscono ai veicoli full electric di diventare uno strumento di massa. I prezzi di acquisto rimangono largamente proibitivi e, pur essendoci Paesi europei più dotati di altri in termini di diffusione delle colonnine di ricarica, e anche di sistemi per lo smaltimento delle batterie esauste, l’auto elettrica continua ad essere un mezzo insufficiente e poco pratico per le lunghe percorrenze.

L’autonomia ha i suoi limiti, anche sulle autovetture più blasonate e care del settore, ed occorre prestare molta attenzione alla velocità, senz’altro per non infrangere il codice stradale, ma pure per farcela a tornare a casa. Se si ha il piede pesante l’autonomia si riduce sensibilmente rispetto a quella dichiarata dal produttore. I tempi di ricarica sono poi insostenibili per chi fa molti chilometri ogni giorno per lavoro e per i trasportatori. Ma anche l’uso dell’auto per svago, del tutto legittimo e ci mancherebbe altro, non può contemplare lunghi soggiorni in autostrada, a meno che non si abbia la fortuna di godere di un mese o più di ferie pagate.

L’auto elettrica non produce le stesse emissioni di Co2 dei motori a combustione, ma, al netto di integralismi “gretini”, bisogna riflettere sia sullo smaltimento delle batterie usate, il quale, precisiamolo, non è a impatto zero dal punto di vista ambientale, che sul consumo stratosferico di energia elettrica, inevitabile se tutto il parco auto continentale fosse elettrificato. Il 2035 è dietro l’angolo e l’Europa, incapace di divenire autosufficiente a breve nella produzione di batterie, dovrebbe appoggiarsi alle importazioni dalla Cina.

Stiamo uscendo faticosamente dalla dipendenza energetica dalla Russia putiniana, e vogliamo proprio ora piegarci alla schiavitù orchestrata da un’altra dittatura, quella comunista di Pechino? Con la beffa di una potenza che continuerebbe fra l’altro a produrre veicoli a benzina e diesel per sé e per tutti i mercati non europei. Molto più saggio, e il rinvio europeo sullo stop ai motori termici porterà a questo, diversificare fra biocarburanti, sistemi ibridi e soluzioni completamente elettriche.

Chi crede nella bontà del full electric deve far competere le proprie ragioni, e renderle appetibili per la grande massa, con altre proposte. Il campo della mobilità ha bisogno di tutto tranne che di imposizioni alla Kim Jong-un e di estremismi ideologici che non permettono di tenere in considerazione tutte le sfaccettature di una questione che è molto più complessa degli slogan banali di Greta Thunberg e simili.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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