“Take back control”, ovvero riprendere il controllo, è lo slogan utilizzato dal Primo Ministro britannico Keir Starmer per presentare il nuovo documento programmatico sull’immigrazione e sull’ottenimento della cittadinanza britannica. Una mossa che imprime una svolta decisiva alla politica laburista così come l’abbiamo conosciuta finora.
E così, con le sue 82 pagine, il White Paper presentato il 12 maggio scorso si prospetta essere un nuovo capitolo nella storia dei laburisti made in Uk, che oggi, più che a sinistra, sembrano guardare a destra per cercare soluzioni a problemi complessi, come, per l’appunto, quello dell’immigrazione.
“Abbiamo bisogno di un sistema di immigrazione che sia giusto, che serva l’interesse nazionale e che ristabilisca il buon senso e il controllo alle nostre frontiere”, ha infatti affermato Starmer durante la presentazione del piano, aggiungendo anche che “Rischiamo di divenire una isola fatta di stranieri, non una nazione che cammina avanti insieme”.
Parole chiare che sanciscono l’inizio di una politica più di stampo conservatore, paradossalmente, ma più in sintonia con quelle che sono le reali preoccupazioni dei cittadini britannici.
Tra le nuove misure introdotte dal governo il fatto che saranno necessari dieci anni (e non più cinque) prima di poter chiedere un permesso di soggiorno permanente nel Regno Unito. Ci saranno poi limitazioni del potere con cui la magistratura potrà opporsi e fermare le espulsioni. Inoltre, altro tema importante, quello dei requisiti linguistici: da ora in poi sarà obbligatorio un test di conoscenza dell’inglese anche per i familiari o le persone a carico che accompagnano le persone migranti e che intendono ottenere la cittadinanza o un permesso di soggiorno permanente.
Una mossa, questa, che intende rimettere al centro il concetto di cittadino stesso. Al contrario di chi, a casa nostra, invece, propone referendum per ridurre i tempi per ottenere la cittadinanza, svalutandola e riducendola ad una semplice questione di residenza, dimenticandosi forse che la cittadinanza non è affatto un diritto automatico, ma un privilegio che va conquistato. Perché essere cittadini non significa solamente vivere entro i confini di un Paese, ma significa condividere e rispettare, e soprattutto amare, la sua storia e la sua cultura. Significa insomma sentirsi e fare parte di un popolo.
Per molti la virata di Starmer è sembrata un fulmine a ciel sereno, ma ad una analisi più attenta si tratta in realtà di un qualcosa che era abbastanza prevedibile.
Il Primo ministro infatti aveva già espresso apprezzamento per il modello italiano proposto da Giorgia Meloni, riconoscendone l’efficacia e il realismo. Tanto che, a conferma di ciò, alcuni passaggi del discorso dell’altro giorno sembrano proprio ricalcare la linea di Giorgia Meloni in politica estera, in particolare nel passaggio in cui il premier inglese menziona la difesa dell’interesse nazionale quale priorità assoluta (un tema che sta a cuore al nostro Paese e che più volte è stato proposto nei consessi internazionali).
Oltre a questo, a far maturare definitivamente la decisione dell’inquilino di Downing Street, forse, può essere stata anche la necessità di recuperare consensi, soprattutto dopo la schiacciante vittoria del partito di Nigel Farage, che con il suo Reform UK ha ottenuto un successo senza precedenti nelle recenti elezioni locali.
Ecco dunque che per rimettere ordine in casa propria e anche per rafforzare la posizione del Regno Unito in Europa (vista l’inarrestabile discesa della sinistra continentale, oramai incapace di risollevarsi), Starmer non ha potuto che agire provando a rispondere ad uno dei problemi cruciali dei nostri tempi con una modalità più seria e pragmatica, esattamente come da tempo sostengono i conservatori d’Europa.
Per il momento, perciò, non possiamo che fare un plauso alla scelta di Starmer, sperando che anche altri seguano la sua stessa direzione, perché oggi il fatto che i laburisti oltremanica si rendano conto che l’approccio conservatore non è discriminatorio né repressivo, ma è semplicemente realista e razionale, fa ben sperare per un futuro migliore per l’intero continente, dove a prevalere non saranno più ideologie utopiche, ma soluzioni concrete che rimettano sul serio al centro il bene dei cittadini.