Sulla crisi di Gaza, la Lega Araba scrive una pagina di storia

Il 30 luglio 2025, la Conferenza internazionale di New York, organizzata sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha compiuto un passo che potrebbe ridefinire il futuro del conflitto israelo-palestinese, una delle dispute più intricate e dolorose del XX e XXI secolo. Per la prima volta, la Lega Araba, che per decenni ha mantenuto un ruolo defilato rispetto alla crisi di Gaza, ha firmato un documento che condanna senza mezzi termini l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, riconosce il diritto di Israele a esistere e chiede una soluzione politica basata sulla creazione di due Stati, come previsto dalla risoluzione ONU del 1947. Nonostante l’assenza di due attori chiave, Stati Uniti e Israele, il documento finale, sottoscritto da tutti i partecipanti, rappresenta un momento di svolta che potrebbe segnare l’inizio di una nuova era per il Medio Oriente.

La risoluzione ONU del 1947, che prevedeva la nascita di uno Stato arabo e uno ebraico nell’ex Palestina mandataria, non è mai stata pienamente attuata, dando origine a un conflitto che ha attraversato guerre (1948, 1967, 1973), occupazioni, intifade e negoziati falliti, come gli Accordi di Oslo del 1993. Negli ultimi anni, la guerra asimmetrica tra le forze armate israeliane e le milizie di Hamas, riconosciuta come organizzazione terroristica dalle Nazioni Unite, ha dominato il panorama di Gaza. L’attacco del 7 ottobre 2023, con il massacro di civili israeliani e il rapimento di ostaggi, ha rappresentato un’escalation senza precedenti. Il documento di New York risponde con fermezza: Hamas deve rilasciare immediatamente gli ostaggi (circa 100, secondo fonti ufficiali), disarmarsi e cedere il controllo della Striscia di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Solo così si potrà aprire la strada alla creazione di uno Stato palestinese che comprenda Gaza e Cisgiordania, con confini basati sulle linee armistiziali del 1967, riferimento storico per i negoziati di pace.

Già prima della Conferenza, il Presidente dell’ANP, Abu Mazen, aveva chiesto la resa di Hamas, considerata un passo indispensabile per porre fine al conflitto e riunificare la leadership palestinese. La dichiarazione unanime dei 22 paesi della Lega Araba, insieme agli altri partecipanti, segna un cambiamento epocale. Per la prima volta dal 1947, la Lega riconosce esplicitamente la legittimità di Israele e il suo diritto a esistere, un gesto che mette fuori gioco chi, come Hamas, contempla la dissoluzione dello Stato ebraico come programma politico. Questo passo ricorda l’audacia degli Accordi di Abramo del 2020, ma va oltre, coinvolgendo l’intera Lega Araba in un impegno collettivo per la pace.

Il documento, tuttavia, non ignora le responsabilità israeliane; l’offensiva militare a Gaza, con oltre 40.000 morti (secondo stime ONU al luglio 2025), l’assedio e la distruzione di infrastrutture civili, ha suscitato critiche anche all’interno di Israele, dove settori della società civile denunciano l’eccessiva durezza della risposta. Nonostante questo, la Conferenza propone una soluzione politica, non bellica, come unica via per uscire dal ciclo di violenza.

Il punto 5 del documento è inequivocabile: “Guerra, occupazione, terrore e sfollamenti forzati non possono garantire pace né sicurezza. Solo una soluzione politica può farlo. La fine del conflitto israelo-palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati sono l’unico modo per soddisfare le legittime aspirazioni di israeliani e palestinesi, in conformità al diritto internazionale, porre fine al terrorismo e garantire la sicurezza di entrambi i popoli, favorendo l’integrazione regionale.”

Proseguendo, il punto 6 impegna i firmatari a intraprendere “passi concreti, tempestivi e irreversibili” per realizzare uno Stato palestinese indipendente, sovrano, economicamente sostenibile e democratico, che viva in pace accanto a Israele. Gaza, liberata dal controllo di Hamas, che dal 2007 governa senza elezioni, passerebbe sotto la guida dell’ANP, coadiuvata da un comitato amministrativo transitorio sotto l’egida dell’ONU. Questo organismo internazionale avrebbe un ruolo cruciale anche dopo la fine delle ostilità, supervisionando la ricostruzione di Gaza, garantendo la sicurezza e preparando il terreno per elezioni democratiche, un processo che potrebbe sanare le divisioni interne palestinesi e restituire dignità a una popolazione stremata da anni di conflitto e isolamento.

A differenza di alcune narrazioni che accusano Israele di genocidio – prive di fondamento giuridico e fattuale, salvo nella propaganda di Hamas e nei report di parte, divenuti un leitmotiv per alcune forze politiche – il documento di New York sceglie la via della diplomazia. Lungi dall’avallare interpretazioni divisive, la Conferenza promuove il dialogo e la cooperazione, come evidenziato dal ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot: “Per la prima volta, i paesi arabi e del Medio Oriente condannano Hamas, il 7 ottobre, ne chiedono il disarmo e l’esclusione dal governo palestinese, e si dichiarano pronti a normalizzare le relazioni con Israele.” Parole, queste, che segnano una discontinuità con il passato e aprono prospettive di integrazione regionale.

Sul fronte israeliano, però, il governo di Benjamin Netanyahu ha risposto, secondo fonti ufficiali, con un ultimatum a Hamas: se non accetterà il cessate il fuoco e non libererà gli ostaggi, l’IDF potrebbe annettere territori attorno a Gaza; una mossa che ricorda le annessioni unilaterali del passato, come quella delle Alture del Golan nel 1981, e che rischia di compromettere il processo di pace.

In questo contesto si inserisce anche l’intervento del premier italiano, Giorgia Meloni, che ha insistito in un colloquio telefonico con Netanyahu sulla necessità di fermare le ostilità e normalizzare la situazione a Gaza, definita “insostenibile” sul piano umanitario.

In definitiva, questo documento ONU, che non lesina critiche agli eccessi della risposta israeliana ma rifiuta ogni forma di odio verso la popolazione ebraica, rappresenta un esercizio di Realpolitik che riprende il sogno della risoluzione del 1947 fini agli Accordi di Oslo e al disimpegno unilaterale israeliano, operato sotto la premiership di Ariel Sharon nel 2005. La sua forza risiede nel mutuo riconoscimento: se Hamas deporrà le armi e libererà gli ostaggi, e se Israele accetterà la nascita di uno Stato palestinese, le ragioni della guerra asimmetrica verranno meno. Con il sostegno degli Stati membri ONU sottoscrittori, che potrebbero assumere un ruolo di garante nella fase post-conflitto, la regione potrebbe finalmente imboccare la strada della pace, della prosperità e della convivenza tra due popoli che, nonostante un passato di sangue, condividono lo stesso desiderio di un futuro migliore.

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Matteo Gianola
Matteo Gianola
Fin da piccolo amavo scrivere e comunicare quello che pensavo e quello che sapevo (potrei dire anche quello che credevo di sapere) perché solo dal confronto può innescarsi una crescita personale e, anche, collettiva. Dopo la laurea in economia e l’inizio del lavoro in banca ho tentato di seguire quello che amavo, iniziano a scrivere per testate come the Fielder, Quelsi, e l’Informale fino a giungere a In Terris e, oggi, pure qui. Mi occupo principalmente di economia, politica e innovazione digitale, talvolta sconfinando anche nella mia passione, la musica.

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