Tassa o proporzione: il paradosso degli extraprofitti bancari e la doppia beffa ai risparmiatori

L’illusione di una giustizia fiscale

Quando, nell’estate del 2023, il Governo italiano annunciò una tassa straordinaria sugli extraprofitti bancari, la misura fu accolta come un atto di giustizia sociale: finalmente — si disse — chi aveva guadagnato grazie all’aumento dei tassi avrebbe restituito qualcosa alla collettività.
Ma, come spesso accade, dietro la semplificazione politica si nascondeva una verità economica più amara.

A un’analisi attenta, emerge una stortura evidente: l’extraprofitti che il Governo intendeva colpire era in larga parte la stessa quota che, in un mercato equo, sarebbe spettata ai clienti sotto forma di interessi sui depositi.
Ciò che i correntisti non hanno ricevuto per mancato adeguamento dei tassi, è diventato margine straordinario per le banche e gettito potenziale per lo Stato.
Una ricchezza privata non distribuita che, anziché tornare ai legittimi titolari — i risparmiatori — è stata trasformata in base imponibile pubblica.

La meccanica dell’extraprofitti

Nel 2023, il sistema bancario italiano ha registrato un margine d’interesse complessivo di 62,1 miliardi di euro, contro i 38,4 miliardi del 2021.
L’incremento, depurato del 10% di franchigia previsto dal decreto, genera un extraprofitti lordo stimato in 19,9 miliardi di euro.

La norma prevedeva una tassazione del 40%, ma con un tetto massimo pari allo 0,26% delle attività ponderate per il rischio (RWA), per un ammontare complessivo di circa 4 miliardi di euro.
La maggior parte degli istituti, però, ha scelto la via alternativa: accantonare a riserva indisponibile un importo pari a 2,5 volte la tassa, evitando così di versare materialmente l’imposta.

Il risultato: 16 miliardi di extraprofitti rimasti in pancia alle banche, 4 miliardi teoricamente tassabili, e un gettito effettivo per lo Stato pressoché nullo.

L’alternativa mai realizzata: la proporzione

Se le banche avessero rispettato il principio di proporzionalità tra tassi attivi e passivi — principio implicito nell’art. 118 del TUB — gli extraprofitti non si sarebbero generati.
Il rialzo dei tassi BCE (fino al 4%) avrebbe dovuto comportare, almeno parzialmente, un adeguamento dei tassi sui depositi.
Ma ciò non è avvenuto: i conti correnti nel 2023 hanno reso in media 0,2%, contro un costo del denaro oltre il 3,5%.

Simulando un’applicazione proporzionale, si ottiene:

Scenario Tasso medio riconosciuto ai clienti Maggiori interessi lordi ai risparmiatori (€ mld) Gettito fiscale (26%) (€ mld) Interessi netti ai clienti (€ mld)

A – Pass-through parziale (1,0%) +0,8 p.p. 9,2 2,4 6,8
B – Pass-through medio (1,5%) +1,3 p.p. 15,0 3,9 11,1
C – Pass-through pieno (2,0%) +1,8 p.p. 20,7 5,4 15,3

In tutti gli scenari, il gettito per lo Stato sarebbe stato equivalente o superiore a quello della tassa sugli extraprofitti, mentre i cittadini avrebbero guadagnato fino a 15 miliardi netti in più di interessi.

Dove sono finiti i soldi

Distribuendo i valori per gruppo bancario, la fotografia del sistema appare chiara:

Gruppo Bancario Extraprofitti Lordi (€ mld) Tassa effettiva (€ mld) Residuo netto banca (€ mld) Interessi ai clienti se proporzione media (€ mld) Gettito alternativo (26%) (€ mld) Interessi netti ai clienti (€ mld)

Intesa Sanpaolo 6,2 1,4 4,8 4,6 1,2 3,4
UniCredit 5,0 1,2 3,8 3,7 1,0 2,7
Banco BPM 1,6 0,3 1,3 1,2 0,3 0,9
BPER Banca 1,0 0,2 0,8 0,7 0,18 0,5
MPS 0,7 0,15 0,55 0,5 0,13 0,37
Credem 0,2 0,05 0,15 0,15 0,04 0,11
Altri istituti 0,8 0,2 0,6 0,6 0,16 0,44
Totale Sistema ≈19,9 ≈4,0 ≈15,9 ≈11,5–15,0 ≈3,0–4,0 ≈8,5–11,0

Lo Stato avrebbe potuto ottenere lo stesso gettito (3–4 mld) attraverso le ritenute sugli interessi, ma con un vantaggio netto per i risparmiatori di oltre 10 miliardi.
Invece, il risultato finale è stato l’opposto: banche più ricche, cittadini più poveri, e un gettito fiscale solo virtuale.

La beffa oligopolistica

Qui si innesta il secondo paradosso — quello più insidioso: in un mercato bancario di tipo oligopolistico, ogni tassa straordinaria viene inevitabilmente ribaltata sulla clientela.

Il sistema bancario italiano, pur formalmente competitivo, è fortemente concentrato: i primi cinque gruppi detengono oltre il 70% dei depositi nazionali e controllano la gran parte della rete sportellare.
In un contesto simile, la possibilità per il cliente di “votare con i piedi” e cambiare banca è più teorica che reale.

Quando un governo impone un prelievo fiscale straordinario, le banche possono:

aumentare le commissioni sui servizi;

ridurre i tassi di remunerazione futuri sui depositi;

oppure trasferire i costi su mutui e prestiti.

In tutti i casi, il risultato è lo stesso: la tassa non viene assorbita, ma traslata sul cliente.

È il principio classico del tax shifting applicato ai mercati a concorrenza imperfetta: in un oligopolio, il potere di mercato consente alle imprese di scaricare a valle la pressione fiscale.
Ciò significa che il risparmiatore, dopo aver perso gli interessi che gli spettavano, potrebbe finire col pagare anche la tassa che doveva compensarlo.

Ecco la beffa nella beffa: non solo il cittadino non ha ricevuto la remunerazione proporzionale del proprio risparmio, ma rischia di finanziare indirettamente la tassa pensata per tutelarlo.
Un perfetto capolavoro di incoerenza redistributiva.

Il paradosso redistributivo

A conti fatti:

le banche hanno trattenuto oltre 15 miliardi;

lo Stato ha incassato poco o nulla;

i cittadini hanno perso gli interessi e rischiano di pagare la tassa in seconda battuta.

Il risultato complessivo è una redistribuzione apparente: un flusso di risorse che non ristora i risparmiatori, non incentiva la concorrenza e non migliora il bilancio pubblico.
Si è generata, in sostanza, una traslazione del valore da chi produce la ricchezza (i depositanti) a chi la amministra (banche e Stato), senza alcuna effettiva redistribuzione di benessere.

Conclusione: oltre il danno, la beffa

Il 2023 resterà un anno simbolico per il credito italiano: quello in cui la moneta ha smesso di remunerare il risparmio e ha iniziato a generare rendita.
Una rendita che lo Stato ha voluto tassare, ma che ha finito per legittimare, lasciando invariato l’equilibrio tra istituzioni e cittadini.

La verità è che l’extraprofitti bancario non è il frutto di efficienza, ma di asimmetria: di tempi, di informazione, di potere.
E in un sistema oligopolistico, ogni tentativo di tassare quell’asimmetria finisce per alimentarla, perché il costo si riversa esattamente su chi ne è vittima.
È la perfetta rappresentazione del principio “oltre al danno, la beffa”: i clienti perdono due volte — prima come risparmiatori, poi come contribuenti

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Massimiliano Scorrano
Massimiliano Scorrano
Nato a Pescara, consegue la Laurea Specialistica nella locale Facoltà di Scienze Manageriali con le tesi di taglio giuridico e di economia, sulle tematiche legate alla sicurezza sui luoghi di lavoro, per la triennale, e sui distretti industriali italiani posti in relazione al capitale sociale ed umano per la specialistica. Scopre la tesi del Valore indotto e della Proprietà popolare della moneta del prof. Giacinto Auriti. Articolista per il sito della Scuola Auritiana, cultore delle politiche monetarie, ha collaborato alla pubblicazione di due libri scrivendo due brevi saggi, l'uno affrontando le tematiche riguardanti le trasformazioni delle Banche Popolare in Italia nel libro "L'Italia del futuro", l'altro affrontando le tematiche relative agli infortuni sui luoghi di lavoro nel libro "Le priorità del cuore".

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