Terremoto Palamara. Gli intrecci malati tra magistratura, stampa e politica.

Un Terremoto lo ha definito in Ministro Bonafede, un terremoto che impone una risposta tempestiva delle istituzioni. E Zingaretti lo incalza affermando,  con la solita sontuosa faccia di bronzo, che il CSM deve essere riformato in tempi rapidi.

Peccato che i due soloni si iscrivono a pieno titolo tra coloro che le carte di questo triste gioco le hanno ampiamente sbirciate con la complicità del mazziere, almeno a leggere gli stralci delle intercettazioni rese pubbliche sull’indagine che investe il leader di Unicost Palamara.

Bonafede ha visto dimettersi il suo capo di gabinetto e le sue nomine presentano tutte aderenze con il sistema malato che oggi condanna. Zingaretti mostra una certa confidenza con Palamara, e dai messaggi del pm anche una contiguità ideale che ha determinato uno “scambio di cortesie”. Oggi però si scrollano di dosso ogni responsabilità e partecipano ipocritamente scandalizzati al coro degli inquisitori.

Ma cosa sta accadendo alla magistratura italiana? Cosa emerge dalle frasi ad effetto pubblicate su alcuni, non tutti e non molti, giornali italiani?  Viene fuori un quadro disarmante che per gli addetti ai lavori è invero una parziale novità. Ma anche per chi è avvezzo alle dinamiche giudiziarie, vi assicuro, fa effetto leggere con i propri occhi il decadimento morale e l’imbarbarimento partigiano in cui si è inabissata parte della magistratura.

L’Associazione Nazionale Magistrati è un’associazione che riunisce oltre il 90% dei magistrati italiani e che al suo interno è divisa in correnti, che a loro volta fanno riferimento ad aree politiche ben precise. In questi giorni è diventata nota al grande pubblico la sigla di cui è esponente l’intercettatissimo Palamara, Unicost, acronimo di Unità per la Costituzione, che farebbe riferimento ad un’area centrista che non disdegna rapporti con il PD, come acclarato dagli scambi intercorsi tra molti esponenti del partito e il pm sotto accusa.

Sono emerse lotte fratricide per le nomine nelle procure, lottizzazioni e minacce di trasferimenti modello “se non fai come dico io ti mando a fare il sostituto procuratore a Sgurgola”, cene ambitissime e a cui un mancato invito costituiva un affronto meritevole di vendetta. E in questo scenario, in cui le correnti della magistratura si azzuffano per un posto al sole, la politica da par suo compulsa e tira per la giacchetta e il giornalismo giudiziario funge da cassa di risonanza, amplificando ora i vizi di uno ora le virtù di un altro a seconda di quello che il più forte decide. E da alcuni intellettualmente onesti è stata denunciata la pericolosità di un sistema in cui la stampa asservita ai pm crei messaggi distorti e riesca ad orientare l’opinione pubblica in base alle necessità di una giustizia che tanto giusta e imparziale non sembra, perché intrisa di ideologia persegue fini politici.

I componenti del consiglio direttivo di ANM vivono oggi nell’impasse di non riuscire più a convergere sulle decisioni e di non poter andare al rinnovo degli organi, perché queste inchieste la paralizzano, recte, ne paralizzano l’azione delle correnti interne e i consiglieri pongono la questione morale come punto di fuoco del problema. Ma Berlinguer a sentir parlare di questione morale chi è riuscito a creare il “capolavoro” della partitocrazia corporativa si rivolterebbe nella tomba.

Sì perché è di questo che si tratta, del paradosso di usare l’autonomia e l’indipendenza di cui la costituzione dota la magistratura, proprio per rendere i giudici liberi dai tipici rapporti di potere che caratterizzano la politica, per gli stessi fini che perseguono i partiti. Ma il problema è che i partiti si confrontano con l’elettorato in base al principio di rappresentanza, dunque il potere che gli viene conferito è un mandato del popolo, la magistratura no. E se il gioco al potere viene esercitato in un agone che non è responsabile di fronte al corpo elettorale diventa pericoloso, se poi l’agone è costituito da soggetti che possono orientare la stampa e di fatto la orientano è ancora più pericoloso e se infine l’agone è fatto da coloro che possono far partire un’indagine a carico di chi al potere è arrivato attraverso il voto è il definitivo cortocircuito.

E così arriva prepotente la certezza di vivere in un meccanismo malato, in cui la fanno da padrona la partigianeria e le smanie si conquista anche in un consesso che dovrebbe essere connotato da assoluta imparzialità. Un sistema in cui non si è più neanche nelle condizioni di farsi un’idea limpida della situazione, perché anche l’informazione  risulta inquinata dagli stessi germi patogeni.

E torniamo all’incipit del discorso e chiediamo a Bonafede cosa intende quando ci dice che urge una riforma della giustizia, perché se la riforma vuole farla con gli stessi criteri che ha usato per fare le sue nomine, vorrà dire che non cambierà proprio nulla nelle dinamiche a cui stiamo assistendo oggi. Le sue nomine sono figlie dello stesso sistema. E Zingaretti, quando racconta indignato che occorre riformare il CSM, vuole forse farsi dare una mano in questo dall’amico Palamara, dato che un posticino in un istituto di ricerca regionale glielo aveva intanto dato? Tutta questa ipocrisia nell’affrontare una vicenda che sta mettendo a dura prova tutto l’ordinamento giudiziario e mette a rischio la stessa tenuta del sistema democratico è francamente desolante.

E come ha dichiarato anche la Meloni l’urgenza è che si pronunci Mattarella, che è il garante della nostra malconcia democrazia, perché si salvi dalla catastrofe la magistratura sana, che ogni giorno lotta affinché sia dato corso ad un compito altissimo, l’amministrazione della giustizia, combattendo tra mille problemi e con le poche risorse destinate ad un settore che avrebbe bisogno di un sostegno vero, e non di guerre intestine e di cospiratori.

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