Il cortocircuito degli opinionisti globali
Ci sono momenti in cui il cortocircuito narrativo dell’establishment si manifesta con tale chiarezza da risultare quasi imbarazzante. The Economist, la Bibbia del liberalismo globalista, ha appena pubblicato un editoriale dal titolo che più esplicito non si può: “Scrap the asylum system – and build something better”. Distruggere il sistema dell’asilo, riformarlo radicalmente, separare il diritto alla protezione dalla dinamica migratoria.
Eppure, chi da anni dice queste cose in Italia – Giorgia Meloni in testa – è stato bollato con l’etichetta infamante di “populista”, se non peggio. Oggi, le stesse analisi vengono rilanciate con autorevolezza anglosassone, e improvvisamente diventano “visione realistica”, “pragmatismo”, “innovazione necessaria”.
L’ironia è evidente. Ma c’è di più: The Economist, nella stessa settimana, dedica un’intera sezione all’Italia proprio su questi temi. E, sorpresa, cita Giorgia Meloni e il modello albanese come esempio da seguire, non da demonizzare.
Meloni, l’Albania e il consenso europeo
In una fase in cui il tema migratorio è tornato al centro della politica europea – con il nuovo Patto UE in discussione e la riforma di Frontex sul tavolo – l’Italia si presenta con un modello già attivo: il protocollo con l’Albania, che consente di esaminare le domande d’asilo al di fuori del territorio nazionale, evitando la pressione diretta sui confini e riducendo l’effetto calamita.
Un’idea che solo un anno fa veniva trattata come “anti-umanitaria”, “fuori dai principi UE”, e che oggi viene invece salutata da The Economist come “una via legale per cambiare gli incentivi”, separando chi fugge da guerre da chi cerca semplicemente condizioni economiche migliori.
La logica è quella di rompere il cortocircuito tra diritto d’asilo e immigrazione illegale: chi arriva da un Paese sicuro non può avanzare pretese di protezione; chi vuole lavorare, deve farlo attraverso i canali legali. Il punto di svolta, spiegano gli inglesi, è che “arrivare senza invito non deve più costituire un vantaggio”.
Il vero populismo è l’ipocrisia
Nel ragionamento dell’Economist c’è un punto ancora più importante, quasi filosofico: se i riformisti non cambiano il sistema, lo faranno i populisti. Ma peggio. È un avvertimento alla sinistra europea, ancora prigioniera del tabù migratorio. Ma è anche un riconoscimento implicito al governo italiano, che sta tentando di riformare prima che esploda tutto.
Il paradosso è che la Meloni è descritta come “non populista”, proprio per aver proposto soluzioni e non slogan. Ma chi l’ha insultata per anni, chi l’ha accusata di fomentare l’odio, dov’è oggi? È chiaro che il tempo della propaganda è finito. O si governa il fenomeno, o si finisce governati da esso.
Nel frattempo, i numeri parlano: gli sbarchi dalla Libia sono in calo, l’Italia ha sottoscritto accordi bilaterali storici con Tunisia, Egitto, Albania, Ruanda, e oggi si trova in posizione centrale nella politica migratoria europea. Quello che prima era accusato di “trumpismo italiano” è oggi, per i giornali liberal anglosassoni, il terreno più fertile per un compromesso europeo.
Dalla critica all’imitazione
Quando The Economist arriva a proporre – nero su bianco – l’esternalizzazione dei centri di accoglienza, la selezione dei migranti a monte, l’invio dei richiedenti asilo in Paesi terzi sicuri, e l’investimento nei Paesi di primo approdo (come il Ciad o la Turchia), lo fa descrivendo esattamente le linee guida italiane del Piano Mattei e degli accordi con Tirana.
È il segno di un’inversione culturale. Meloni, a Bruxelles, ha sfidato anni di retorica assistenzialista e ha ottenuto consenso. E ora anche la stampa liberal deve prendere atto che l’unica via per evitare una reazione populista incontrollata è riconoscere che i confini esistono, e che governarli è un atto di giustizia, non di esclusione.
Chi detta la nuova agenda?
La domanda, alla fine, è una sola: chi detta oggi l’agenda sull’immigrazione in Europa? Non i think tank progressisti, non le ONG, non le università americane. Ma un governo patriottico italiano, guidato da una donna di popolo, che ha avuto il coraggio di dire che i diritti valgono solo se hanno anche dei doveri.
Meloni ha cambiato il linguaggio della politica migratoria. E quando anche The Economist se ne accorge, è il segno che la battaglia è passata dal piano ideologico a quello strategico.
E forse, per una volta, l’Italia è arrivata prima.