Nel 65° anniversario della rivolta di Lhasa contro l’occupazione cinese, il Sen. Giulio Terzi (FdI) ha sottolineato come sia necessario mantenere la Memoria dei crimini che furono e continuano ad esser commessi da Pechino in Tibet, nell’ammonimento di ciò che la storia violenta del Partito Comunista Cinese rappresenta per la Comunità Internazionale. Quando qualsiasi parvenza di autonomia per la Nazione Tibetana venne soffocata nella crudele repressione comunista del 10 marzo 1959, a cui è seguito un sistematico, capillare, spietato sradicamento di qualsiasi identità religiosa, culturale, politica, nazionale del Tibet, la Convenzione contro il Genocidio era già adottata da anni. Le Nazioni Unite esistevano già da anni. Il diritto consuetudinario sui crimini contro l’umanità era già stato applicato da anni. I principi legali del Tribunale di Norimberga erano stati applicati da un decennio, e avranno continuato ad esserlo, nella Corte penale internazionale e nelle giurisdizioni a portata universale, in molti Stati della comunità internazionale in base a trattati e consuetudini affermate dallo Stato di Diritto nella riconosciuta universalità di tali principi giuridici. Perché tutto questo continua a non valere solo e unicamente per la Cina comunista? Come diceva Lenin, “i capitalisti ci venderanno la corda con la quale li impiccheremo”. E infatti, come sottolineato ancora una volta da autorevoli voci al Convegno del 6 marzo scorso alla Sala Zuccari del Senato, sulle influenze cinesi in Italia e Europa, continuiamo a farci condizionare dalle “dipendenze” dai pannelli solari, dalle batterie elettriche, dalle auto elettriche cinesi, o dalle sovvenzioni assicurate dagli organi del Partito Comunista Cinese al mondo della ricerca e dell’insegnamento universitario attraverso gli Istituti Confucio o programmi scientifici nei quali manca qualsiasi garanzia di reciprocità, rispetto della Proprietà Intellettuale e delle priorità della nostra Sicurezza Nazionale.