Il Governo ci prova ancora! Dopo aver tentato di inserire la limitazione delle responsabilità dei componenti della Commissione Colao, dopo aver tentato di inserire lo scudo penale ed erariale per i funzionari amministrativi che agivano in tempi di pandemia, oggi con il DL semplificazioni la torta è stata servita a mezzo di decretazione d’urgenza.
Il 16 luglio infatti è entrato in vigore il DL semplificazioni, che in modo molto puntuale è intervenuto in materia di appalti pubblici, modificando sensibilmente la normativa in vigore.
Ebbene, la ratio del decreto è quella di facilitare ed agevolare una serie di meccanismi ala base dell’approvvigionamento di lavori, servizi e forniture da parte della pubblica amministrazione. Attesa l’emergenza pandemica, si dice, occorre che le amministrazioni che contrattano con i privati abbiano meno vincoli, sia con riferimento alle c.d. “soglie”, ovvero agli importi che determinano la necessità di fare o non fare una gara pubblica e sia con riferimento alle procedure di aggiudicazione. Pertanto, con molteplici disposizioni, si consente ad esempio di procedere all’aggiudicazione di un contratto d’appalto con affidamento diretto, dunque senza gara d’appalto, per somme molto importanti.
Accompagnano le disposizioni sulle soglie una serie di norme che sostanzialmente vanno nel senso di dare alle stazioni appaltanti una grande discrezionalità, consentendo in buona sostanza di essere più libere di gestire i fondi pubblici anche in deroga alla normativa attuale, che come è noto è di derivazione europea.
In disparte il merito, che avrebbe bisogno di un approfondimento certosino, norma per norma e comma per comma, si annida nel DL semplificazioni il trappolone delle “responsabilità”.
Gli articoli che vanno dal 21 al 23 infatti, costituiscono il tema ridondante della normazione d’urgenza da inizio pandemia, la volontà di limitare le responsabilità dei funzionari e dei dirigenti pubblici allorquando si tratta di maneggiare i soldi dell’erario. E se la norma di cui all’art. 23 del decreto, che modifica l’art. 323 del codice penale consentendo la contestazione dell’abuso d’ufficio solo in casi tassativamente previsti, è comprensibile e risolve, anche se in una sede a parere di chi scrive non adatta, una stortura del nostro ordinamento per cui i funzionari e i dirigenti a causa della c.d. “sindrome della firma” spesso non portavano avanti procedimenti amministrativi per paura della magistratura, non si comprende la ragione dell’art. 21 del decreto.
L’art. 21 dl 76/20, infatti limita la responsabilità erariale alle sole condotte dolose dei funzionari, con espressa esclusione dei casi di colpa grave. Ciò sta a significare che un funzionario o un dirigente della pubblica amministrazione che dovesse gestire il denaro pubblico con superficialità estrema, qualora cagionasse un danno non sarebbe soggetto al risarcimento. E questa disposizione incomprensibile fa cadere il castello di carte costruito dal governo giallorosso, che si conferma allergico a qualunque tipo di responsabilità.
Occorrerebbe un po’ di onestà giuridica ed intellettuale per comprendere che un aumento della discrezionalità della pubblica amministrazione non può certo essere accompagnato un alleggerimento delle responsabilità erariali, anzi se si possono maneggiare somme importanti con estrema disinvoltura, occorre che coloro che hanno questo potere siano più esposti al controllo sul come effettuano la spendita di danaro pubblico. Anche considerato che coloro che nella pubblica amministrazione hanno potere di firma e di impegno di spesa, sono profumatamente pagati proprio per assumersi le responsabilità di una gestione coerente, corretta e trasparente del danaro dei cittadini, eliminare anche il vincolo della colpa grave appare un salvacondotto per gestioni allegre e spensierate che in un periodo di grave congiuntura come quello che sa affrontando la Nazione non ci possiamo in alcun modo permettere.