Dazi al 15% anziché al 30. Un sospiro di sollievo? Forse. Ma guai a illudersi: il problema non è Donald Trump. Il problema è un’Europa che, senza strategia né visione, continua a recitare il ruolo di comparsa sul palcoscenico del mondo.
Trump non ha mai fatto mistero della sua linea: America First. Prima l’America, senza se e senza ma. I dazi non sono capricci, ma strumenti di una strategia che mira a difendere l’economia americana, costringendo i partner a rinegoziare secondo condizioni favorevoli agli Stati Uniti. E questa volta, per evitare l’escalation, Bruxelles ha accettato di investire 600 miliardi in settori strategici. Tradotto: ci hanno messi con le spalle al muro, e noi abbiamo ceduto. Di nuovo.
Perché? Perché l’Europa – o meglio, questa Unione Europea – non ha la forza né la volontà politica per rispondere con autorevolezza. È paralizzata da un’ideologia globalista che predica l’apertura mentre subisce la concorrenza sleale, che legifera per decrescere invece che per competere. Il risultato? Siamo prevedibili, fragili, esposti.
Eppure c’è chi, in mezzo a questa tempesta, si è mosso con intelligenza e pragmatismo. Giorgia Meloni, lontana dalla retorica anti-Trump che infesta i salotti europei, ha saputo coltivare un dialogo diretto con il tycoon. A febbraio, a Mar-a-Lago, ha gettato le basi di un’intesa mirata a difendere gli interessi italiani in una fase cruciale per l’equilibrio commerciale globale.
Le imprese europee si arrangiano come possono, mentre Bruxelles si perde nei meandri del Coreper. È la solita sceneggiatura: l’ideologia contro la realtà, la burocrazia contro il buon senso.
Ma il vero problema è ben più profondo. L’Europa ha smesso di difendersi. Ha abbandonato l’industria strategica, si è arresa al monopolio delle Big Tech americane, ha imbastito una rete normativa che strangola l’innovazione. Il tutto in nome di un Green Deal che piace ai convegni progressisti, ma fa a pezzi chi lavora. Gli Stati Uniti, intanto, incentivano chi produce, tagliano le tasse, attraggono capitali. Trump l’ha capito e l’ha dimostrato: il pragmatismo batte l’utopia.
Cosa dovrebbe fare l’Europa? Smettere di inseguire i feticci del pensiero unico. Tornare alla realtà. Seguire l’esempio italiano, costruire alleanze strategiche, difendere le proprie filiere, abrogare il Green Deal, ripensare l’intero impianto normativo che penalizza chi crea valore.
Questo accordo non è un successo. È un promemoria. Se l’Europa non si sveglia, continuerà a mendicare tregue da Washington, mentre le sue economie affondano sotto il peso di ideologie che costano più dei dazi. Checché ne dicano sinistra e mainstream.