«L’Europa non è mai apparsa più patetica o più debole sulla scena globale». Con queste parole il Telegraph ha fotografato la distanza tra il piano presentato dall’Amministrazione Trump e il documento congiunto firmato da Francia, Spagna, Irlanda e altri Paesi europei.
Da un lato, Washington pone una condizione netta: cessate il fuoco solo se Hamas rilascia tutti gli ostaggi entro 72 ore. «Se rifiuta – scrive il quotidiano londinese – Israele avrà “pieno sostegno” a chiudere la partita militarmente».
Dall’altro, Bruxelles e alcune capitali europee annunciano il riconoscimento dello Stato di Palestina senza strumenti di enforcement, ignorando sia il ruolo di Israele sia la responsabilità primaria di Hamas. Una scelta che il Telegraph definisce «velleitaria, scollegata dalla realtà».
Chi governa Gaza “il giorno dopo”
Altro punto chiave: chi amministrerà Gaza se Hamas verrà sconfitto. Qui l’Europa si rifugia nella formula dell’Autorità Nazionale Palestinese, come se fosse garanzia automatica di stabilità.
Ma il Telegraph ricorda che l’ANP «è corrotta, inefficiente e spesso complice della propaganda antisemita», con stipendi pagati ai terroristi e un apparato clientelare che ha già fallito clamorosamente.
Non a caso, quando Israele si ritirò da Gaza nel 2005, furono proprio i miliziani di Hamas a scacciare Fatah nel 2007 in una guerra civile sanguinosa. Ripetere lo schema significherebbe non aver imparato nulla dalla storia.
Italia e Mediterraneo: il caso Flotilla
Il contrasto tra realismo e moralismo non è astratto: tocca anche il Mediterraneo. Giorgia Meloni lo ha detto chiaramente sui social: «Quegli aiuti possono essere consegnati senza rischi attraverso i canali sicuri già predisposti. Insistere nel voler forzare un blocco navale significa rendersi – consapevolmente o meno – strumenti di chi vuole far saltare ogni possibilità di un cessate il fuoco».
La Presidente del Consiglio smonta così l’operazione mediatica della Flotilla, che preferisce il teatro dei proclami all’efficacia dei corridoi umanitari. Una linea coerente con il pragmatismo riconosciuto a Washington e agli alleati arabi, opposta alla retorica europea che – nota ancora il Telegraph – «non ha alcun meccanismo per imporre ciò che annuncia».
La crisi d’identità europea
Il giornale britannico non risparmia nemmeno i protagonisti del nuovo fronte europeo. Emmanuel Macron si agita da “regista”, ma la sua Francia è incapace di garantire sicurezza nemmeno a casa propria. «Più proclami che risultati», scrive il Telegraph, con un presidente che «ama il palcoscenico» ma non porta strumenti concreti.
Non va meglio a Londra: il premier Keir Starmer, appena insediato, sembra più preoccupato di mostrarsi allineato alle liturgie ONU che di difendere l’interesse strategico britannico. Il risultato? Un Regno Unito che, con il Labour, appare ancora più irrilevante che con i conservatori.
È questo il paradosso: leader che parlano di “pace” senza avere né deterrenza né autorità reale, e che trasformano l’Europa in un coro impotente mentre altri scrivono le regole sul terreno.
Uscire dal labirinto
Il nodo non è il desiderio di pace, ma il percorso per raggiungerla. Qui sta il bivio: realismo operativo – ostaggi, sicurezza, garanzie verificabili – contro la scorciatoia del riconoscimento unilaterale. L’Italia, con la sua centralità nel Mediterraneo e il suo impegno nei corridoi umanitari, ha un ruolo naturale: sostenere soluzioni pratiche, non partecipare a rappresentazioni simboliche.
«L’Europa – conclude il Telegraph – appare smarrita e irrilevante proprio quando servirebbero lucidità e forza». È la lezione che la vicenda di Gaza ci consegna: senza responsabilità e deterrenza, la pace resta una parola vuota.