«He has gone absolutely crazy». Donald J. Trump non usa mezzi termini. Il presidente degli Stati Uniti, tornato alla Casa Bianca per un secondo mandato non consecutivo, ha definito Vladimir Putin “completamente impazzito” dopo l’attacco missilistico e con droni che ha colpito Kiev e altre città ucraine, il più vasto dall’inizio del conflitto. Oltre 360 tra missili e droni hanno seminato distruzione, provocando almeno 13 vittime civili, tra cui tre bambini. Un’azione brutale, a cui Trump ha reagito con un tono tanto netto quanto significativo (Fox News).
Non è solo una condanna. È un messaggio. Ed è rivolto a Mosca.
La pazienza (limitata) di Trump
Trump non è mai stato un interventista. La sua visione dell’America First ha sempre incluso una profonda avversione per le guerre “infinite” e per l’ingerenza militare all’estero. Ma il suo pacifismo strategico si accompagna a un’altra costante: l’intolleranza per chi lo mette in difficoltà sul piano dell’immagine e del controllo.
Nella visione trumpiana della politica estera, il prestigio personale è un valore strategico. Trump non tollera di essere scavalcato o smentito, men che meno da un leader che — a suo dire — “non avrebbe mai osato iniziare questa guerra se fossi stato io al comando”. Ecco il punto. L’azione di Putin viene letta da Trump come un affronto diretto, un test di forza lanciato proprio nel momento in cui il presidente USA cerca di rilanciare la sua figura come mediatore globale e uomo della pace attraverso la forza.
Se Putin mette in discussione l’efficacia dissuasiva della sua presidenza, Trump non lo perdona.
I rischi per Mosca
Il Cremlino ha reagito alle parole di Trump con toni duri, ma prudenti: «Il presidente sta difendendo la Russia e i suoi interessi nazionali», ha dichiarato un portavoce (Times of India). Tuttavia, Mosca sa bene che la variabile Trump è molto più imprevedibile di quanto lo fosse Biden.
Con Biden, la strategia era chiara: sostegno all’Ucraina, escalation controllata, risposta diplomatica nella cornice della NATO. Con Trump, lo schema può cambiare radicalmente — e con pochissimo preavviso.
Il rischio per la Russia è duplice:
- Perdita dell’interlocutore privilegiato. Durante il primo mandato, Putin ha spesso beneficiato della retorica trumpiana anti-NATO e delle ambiguità su Crimea e Donbass. Ora, quelle ambiguità sembrano sparire. Trump non parla più da osservatore critico della NATO, ma da leader di una superpotenza ferita nell’orgoglio.
- Risposta fuori schema. L’errore più grave che il Cremlino può compiere è trattare Trump come un normalizzatore. Se costretto a scegliere tra l’apparire debole o il sorprendere il mondo con una mossa a effetto, il Trump presidente sceglierà sempre la seconda. Un’azione militare di rappresaglia chirurgica, una sospensione di canali diplomatici, un embargo duro o — più sottilmente — un cambio di rotta nella fornitura di armamenti all’Ucraina sono tutti scenari possibili.
Quando Trump agisce: precedenti e possibili sviluppi
Chi conosce Donald Trump sa che, al di là della retorica isolazionista, esistono momenti in cui il presidente è disposto a usare la forza come strumento di ripristino del proprio prestigio internazionale. Due precedenti sono illuminanti:
- Aprile 2017, Siria: dopo un attacco chimico compiuto dal regime di Assad contro civili, Trump ordinò il lancio di 59 missili Tomahawk sulla base aerea siriana di Shayrat. L’operazione fu decisa in meno di 72 ore e annunciata durante una cena di Stato con Xi Jinping a Mar-a-Lago. Il messaggio era chiaro: l’America trumpiana punisce chi oltrepassa le linee rosse (BBC).
- Gennaio 2020, Iran: Trump ordinò l’uccisione mirata del generale Qasem Soleimani, figura chiave del potere iraniano e responsabile di operazioni anti-americane nella regione. La Casa Bianca rivendicò l’attacco come una “necessità immediata per prevenire minacce” (New York Times).
Da qui una domanda giornalisticamente legittima:
E se Trump decidesse di colpire obiettivi militari russi, o centri di comando strategici in Ucraina occupata, come risposta a un’escalation giudicata intollerabile?
Non sarebbe un intervento in difesa di Kiev, ma un segnale a Mosca: “Tu puoi essere pazzo. Ma io sono imprevedibile.”
Il solo fatto che questo scenario sia plausibile nella mente di Trump può già influenzare i calcoli del Cremlino.
La guerra e il teatro
C’è un’ultima chiave di lettura che spiega perché Putin farebbe bene a non sottovalutare l’irritazione trumpiana. Il conflitto in Ucraina non è solo una guerra tradizionale: è anche, forse soprattutto, un teatro geopolitico. E Trump, lo showman della politica globale, è ossessionato dalla regia.
Ogni mossa che si consuma fuori copione, senza di lui o contro di lui, rischia di provocare una reazione non proporzionata ma spettacolare. Proprio come accadde con la Corea del Nord nel 2017, o con l’Iran nel 2020. In quei casi, Trump non esitò a usare la forza per riaffermare il proprio primato.
Una nuova fase?
Dopo oltre due anni di guerra, il conflitto ucraino potrebbe dunque entrare in una nuova fase. Se l’escalation russa continuerà a testare i limiti della pazienza di Washington, non è escluso che Trump decida di abbandonare la cautela strategica e optare per un’azione dimostrativa, persino più destabilizzante delle sanzioni europee.
La domanda ora non è più se Trump interverrà, ma quanto vicino sia quel punto di rottura oltre il quale l’uomo che voleva “Make Peace through Strength” deciderà che la pace — e la forza — passano per una prova muscolare diretta.