L’ira di Trump: «Putin è impazzito, sta giocando col fuoco»
Nella notte tra il 26 e il 27 maggio, Donald J. Trump rompe ogni prudenza diplomatica: «Putin sta giocando col fuoco. Se non fosse per me, alla Russia sarebbero già accadute cose molto brutte». È un passaggio retorico che segna un netto cambio di tono rispetto ai mesi precedenti, in cui l’ex tycoon diventato di nuovo presidente aveva mantenuto una postura ambivalente: critica verso Zelensky, cauta con Mosca, vagamente nostalgica della propria “amicizia strategica” con il leader del Cremlino.
Ora invece il clima è cambiato. Il Cremlino ha scatenato l’attacco più massiccio dall’inizio dell’invasione con 900 droni e 69 missili da crociera, e il numero delle vittime civili – tra cui diversi bambini – ha ridato centralità al conflitto nei notiziari americani. Trump non può più restare in silenzio.
Sanzioni, dazi e diplomazia condizionata: la linea dura che ancora non arriva
Ma dietro la retorica, le decisioni concrete tardano. Il Dipartimento del Tesoro e quello di Stato hanno pronti da settimane almeno due pacchetti di sanzioni: uno destinato al sistema bancario russo, l’altro al settore energetico, con dazi sulle importazioni di petrolio, fertilizzanti e uranio. Tuttavia, Trump sembra esitare: teme che un inasprimento eccessivo delle misure possa compromettere qualsiasi apertura negoziale e rendere la pace un miraggio.
La Casa Bianca starebbe valutando anche sanzioni secondarie, cioè dirette contro i Paesi terzi che continuano a commerciare con Mosca. L’obiettivo è chiaro: costringere la Russia a negoziare, senza spezzare del tutto i ponti.
Zelensky tende la mano (e alza il volume): pronto a un vertice con Trump e Putin
Dal bunker presidenziale di Kyiv, Volodymyr Zelensky manda segnali forti. In un’intervista a Politico, dichiara: «Penso che Putin irriti la Casa Bianca più di quanto lo faccia io». Un modo elegante per ribadire che, sebbene i rapporti con Trump non siano idilliaci, il vero nemico resta Mosca.
Poi arriva la mossa: Zelensky propone un vertice trilaterale con Trump e Putin, in qualunque formato. Non è solo diplomazia: è un invito pubblico a Trump a diventare arbitro del conflitto, mediatore globale. Ma con quali garanzie?
Nel frattempo, la Russia ha concentrato oltre 50.000 uomini nella regione di Sumy, e secondo fonti ucraine punta a costruire una “zona cuscinetto” nel territorio invaso. La guerra, insomma, avanza mentre la diplomazia annaspa.
Cosa pensano gli americani di Putin e della guerra in Ucraina?
Secondo l’ultimo sondaggio del Pew Research Center (aprile 2025), il 51% degli americani ha un’opinione “molto negativa” di Putin – in calo rispetto al 69% del 2022, ma ancora maggioritaria. I giovani under 30, tuttavia, mostrano maggiore ambivalenza: meno ostili, meno interessati, più disillusi.
La fiducia nell’Ucraina non è unanime: solo il 39% degli intervistati sostiene un aumento dell’assistenza militare. Il resto dell’elettorato è più preoccupato per l’inflazione e i prezzi dei carburanti che per la linea del fronte a Kharkiv.
E Trump? Secondo un sondaggio Ipsos/Reuters (maggio 2025), la sua approvazione è scesa al 42%, con picchi negativi tra gli indipendenti e i moderati. Il motivo? Preoccupazioni economiche interne, ma anche la percezione di una linea estera incerta.
Trump “tra due fuochi”, verso un nuovo equilibrio?
In questo scenario complesso, Trump appare stretto tra due necessità strategiche:
- Mostrare forza contro Putin, come richiede la sua base più patriottica.
- Non alienare del tutto Mosca, per mantenere un canale negoziale utile in vista di una sua “pace personale”, il grande trofeo che potrebbe cambiare la narrazione presidenziale.
Zelensky lo sa e lo sfrutta. Putin lo teme, ma lo osserva. L’Europa resta defilata, tra dichiarazioni di principio e nuovi pacchetti di sanzioni. E sullo sfondo, l’Ucraina resiste, ma chiede all’Occidente qualcosa di più del solito applauso.