Trump-Putin, negoziati in stallo: tensioni in Ucraina, le pressioni su Israele e minacce Iraniane

La giornata di ieri, caratterizzata da densi sviluppi, con al centro una telefonata di oltre due ore tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il leader russo Vladimir Putin, non ha portato alla svolta sperata per il conflitto in Ucraina. Trump, pur esprimendo ottimismo, ha sottolineato che la pace deve essere negoziata direttamente tra le parti coinvolte, mentre il Cremlino resta fermo sulle sue posizioni. Sullo sfondo, tensioni crescenti in Medio Oriente, con pressioni internazionali su Israele, e un preoccupante episodio di spionaggio iraniano ai danni dell’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett.

Trump-Putin: nessun cessate il fuoco, ma un cauto ottimismo

La telefonata tra Trump e Putin, attesa con grande interesse, non ha prodotto l’auspicato cessate il fuoco in Ucraina. Il Cremlino continua a esplorare formati e formule diplomatiche senza accettare un accordo incondizionato, come richiesto dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Prima del colloquio con Putin, Trump aveva parlato con Zelensky, come riportato dal Wall Street Journal. Durante questo scambio, Zelensky avrebbe chiesto a Trump di premere per un cessate il fuoco di 30 giorni, di promuovere un futuro incontro diretto con Putin – con la partecipazione dello stesso Trump – e di garantire che gli Stati Uniti non prendano decisioni sull’Ucraina senza coinvolgere Kiev.

Trump, nelle sue dichiarazioni post-chiamata, ha espresso un cauto ottimismo, annunciando che Russia e Ucraina inizieranno “immediatamente” le negoziazioni per un cessate il fuoco e una fine della guerra. “Le condizioni di un accordo di pace possono essere negoziate solo tra Russia e Ucraina, e forse con l’aiuto del Papa”, ha dichiarato il presidente americano, secondo quanto riportato dalla BBC. Trump ha anche accennato alla possibilità di offrire incentivi a Mosca, come la riduzione delle sanzioni e nuovi accordi commerciali e investimenti economici, per spingere Putin verso un’intesa. Tuttavia, il leader russo si è limitato a parlare di un “memorandum su un possibile futuro accordo di pace”, evidenziando una distanza tra le posizioni dei due leader. Putin ha ribadito che qualsiasi risoluzione dovrà affrontare le “cause profonde” del conflitto, un riferimento alla storica narrazione russa che attribuisce la guerra al desiderio dell’Ucraina di avvicinarsi all’Europa.

Il vice presidente USA JD Vance, prima della telefonata, aveva anticipato che i colloqui erano in una fase di stallo. “Penso che il Presidente dirà al Presidente Putin: ‘Senti, sei serio su questo?’”, aveva dichiarato Vance, aggiungendo che Putin potrebbe non sapere come uscire dal conflitto. Una conversazione definita “franca” dal Cremlino, ma che non ha portato a progressi concreti.

Il ruolo del Vaticano nei negoziati

Un elemento di speranza arriva dal Vaticano, dove JD Vance e il segretario di Stato americano Marco Rubio hanno incontrato Papa Leone XIV in udienza privata. Il Pontefice ha ribadito la disponibilità della Santa Sede a ospitare negoziati tra Russia e Ucraina, un’offerta che potrebbe aprire nuovi scenari diplomatici. Durante l’incontro, Vance ha consegnato al Papa una lettera di Trump, contenente un invito a Washington. Sebbene non ci siano conferme immediate, il gesto potrebbe preludere a un maggiore coinvolgimento del Vaticano nella mediazione internazionale, un’ipotesi che Trump stesso ha menzionato come possibile supporto per le trattative.

Pressioni internazionali su Israele per la crisi a Gaza

Nel frattempo, in Medio Oriente, la situazione umanitaria a Gaza ha attirato nuove condanne internazionali. Francia, Regno Unito e Canada hanno emesso una dichiarazione congiunta, denunciando la gestione della crisi – con i primi camion di aiuti entrati solo di recente, dopo una pausa iniziata il 2 marzo – e minacciando “misure concrete” se Israele non fermerà la sua offensiva e non revocherà le restrizioni sugli aiuti. Questo potrebbe tradursi in sanzioni da parte di alcuni dei principali alleati occidentali di Israele, segnando un’ulteriore escalation diplomatica in una regione già segnata da tensioni.

La minaccia Iraniana in Israele

Un episodio inquietante ha riportato l’attenzione sulla minaccia iraniana. Un 18enne israeliano, reclutato da agenti iraniani, è stato arrestato dopo aver documentato il piano dell’ospedale Meir di Kfar Saba, dove era ricoverato l’ex primo ministro Naftali Bennett. Secondo la polizia israeliana, l’obiettivo era contribuire a un potenziale assassinio di alti funzionari. Questo caso evidenzia come Teheran continui a operare nell’ombra, anche all’interno dei confini israeliani, sfruttando cittadini vulnerabili per scopi strategici, e rappresenta un campanello d’allarme per la sicurezza non solo di Israele, ma anche dell’Occidente.

Un futuro incerto tra sfide e opportunità

Gli eventi del 19 maggio riflettono un mondo in bilico tra crisi e possibilità di dialogo. La telefonata Trump-Putin, pur non avendo sbloccato l’impasse in Ucraina, ha aperto uno spiraglio per futuri negoziati, con il Vaticano che potrebbe giocare un ruolo chiave. Tuttavia, le tensioni in Medio Oriente, alimentate dalle manovre iraniane, continuano a destare preoccupazione. In questo scenario, la comunità internazionale si trova di fronte a una sfida cruciale: trovare un equilibrio tra pressioni diplomatiche e soluzioni concrete per evitare un’ulteriore escalation dei conflitti. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se prevarrà la via del dialogo o se le divisioni continueranno a dominare.

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