Ue e dazi: nervi saldi con Trump e autocritica severa

La prima ondata di dazi, chiamiamola così, minacciati da Donald Trump nei confronti della Unione Europea è andata incontro ad una proroga di tre mesi, ma si sapeva che la Casa Bianca sarebbe tornata a concentrarsi sulla revisione delle tariffe doganali applicate alle importazioni negli Stati Uniti. Infatti, il presidente americano, oltre a dare notizie simili sia al Canada che al Messico, ha comunicato all’Europa l’avvio dall’1 agosto prossimo di dazi al 30% sulle merci europee importate negli USA. Da qui alla data indicata da Trump vi è ancora tutto il tempo per negoziare un accordo commerciale fra le due sponde dell’Atlantico e scongiurare una distruttiva guerra commerciale in seno all’Occidente dalla quale avrebbero tutti da perdere, America ed Europa. Anche una serie di dazi e contro-dazi fra vicini, (USA, Canada e Messico), sarebbe altrettanto deleteria per tutte le parti in causa. Le Americhe e l’Europa non possono permettersi dilanianti lotte intestine dal punto di vista economico e commerciale perché si pesterebbero i piedi a vicenda senza consentire l’affacciarsi di un vero vincitore, e migliorerebbero l’umore solo dei grandi competitor dell’Occidente, Russia e Cina in primo luogo. Al di là dei toni drammatici di alcuni media, Trump non ha chiuso affatto alla possibilità di negoziare ancora con l’UE e da Bruxelles si preferisce guardare con attenzione alle posizioni più aperturiste del presidente americano e lasciare parcheggiate, almeno per il momento, le contromisure previste come extrema ratio se proprio dovesse diventare impossibile trattare con Washington. Dai piani alti della Unione Europea si assicura che si stia negoziando a tutti i livelli con gli Stati Uniti e speriamo davvero che  esca qualcosa di equo per entrambe le parti, capace di allontanare a tempo indeterminato un conflitto commerciale euro-americano.

Gli USA sono gli USA, conosciamo bene il loro peso anche economico nel mondo, ma l’Europa, come ha ricordato la premier Giorgia Meloni, ha la forza per poter discutere con il gigante a stelle e strisce. Una forza non sempre sfruttata a sufficienza proprio da quegli eurolirici che, non avendo contezza delle vere potenzialità del Vecchio Continente, hanno a lungo preferito delegare ad un pugno di burocrati e a pochi governi, quelli di Francia e Germania in special modo, le decisioni continentali, facendo della UE un nano politico-militare e, al tempo stesso, un gigante alimentato da dirigismi tanto asfissianti quanto ridicoli. USA e UE devono lavorare assieme per mettere la parola fine ad un clima di incertezza a livello globale nel campo commerciale, sorto all’inizio del 2025 con i primi annunci trumpiani di nuovi dazi USA branditi verso quasi tutto il mondo. L’insicurezza prolungata è più devastante dei dazi stessi, come ha fatto presente, a ragione, il commissario UE per il Commercio Maros Sefcovic. L’Europa negozi con nervi saldi e con la consapevolezza dei propri punti di forza, ma abbia inoltre la capacità, in un’epoca che viene considerata di grandi cambiamenti, di fare una profonda autocritica verso le scelte comunitarie compiute soprattutto negli ultimi due decenni. Non si può fare opera di vittimismo puntando il dito contro il tycoon cinico e baro quando, nel nome di un ambientalismo strabico e fasullo, perché mosso da interessi lobbistici opachi, si arriva ad aggravare i costi di produzione delle proprie imprese continentali ancora prima che esse subiscano attacchi dagli altri grandi blocchi geopolitici ed economici. Eventuali dazi USA al 30% sarebbero una bella bastonata per i produttori ed esportatori europei, e contiamo, ovviamente, che essi vengano evitati dai negoziati in corso, ma, al netto delle possibili gabelle di Donald Trump, le aziende UE già soffrono di balzelli, restrizioni, norme illiberali che producono maggiori spese, a causa della imposizione del folle ecologismo contenuto nel Green Deal e di un salutismo di Stato che ha preso piede negli ultimi decenni. La Commissione europea e diversi governi del continente sembrano avviati, sebbene ancora troppo lentamente, nella direzione di una transizione ecologica più ragionata e ragionevole, ma fino a questo momento sono già stati inferti non pochi danni alla economia del Vecchio Continente.

Deve arrivare, speriamo al più presto, una impostazione politica generale che spinga sulla diversificazione delle fonti di energia, puntando molto sul nucleare, e sulla coesistenza di più soluzioni per l’automotive, (biocarburanti e non solo elettrico). Tuttavia, con l’insistenza ufficiale di Bruxelles per il ricorso alla sola mobilità elettrica dal 2035 in poi e per il raggiungimento di parametri anti-inquinamento sempre più severi circa i motori benzina e diesel, l’industria automobilistica cerca da anni di accontentare le pretese dei burocrati “verdi” e insegue in modo forsennato i vari traguardi, (motori Euro 4, 5, 6 e avanti all’infinito). Costruisce veicoli elettrici o ibridi con costi che superano i guadagni e infatti, la promozione ideologica del Green Deal ha messo severamente in crisi il comparto dell’auto. La tendenza a punire determinati ambiti, nel nome di un salutismo ridicolo, oltre che del solito ambientalismo dogmatico, con ulteriori aggravi fiscali come la Sugar tax, rinviata in Italia dal saggio Governo Meloni e speriamo un domani eliminata del tutto, o la Plastic tax, non fa che mettere in difficoltà le aziende, in particolare quelle produttrici di acque e bevande di vario genere, con più spese e guadagni ridotti. Nulla deve essere demonizzato e tutto, comprese le bibite gassate e zuccherate, può fare bene o male secondo l’uso che ne viene fatto dal consumatore. La responsabilità personale è l’unico mezzo utile e non di certo le tasse inopportune, ed evitabili, che colpiscono l’economia e hanno la pretesa ideologica di rieducare il popolino.

Concludiamo con l’esempio del tappo attaccato alla bottiglia di plastica, di acque minerali o bevande dolci. Ciò può sembrare una fesseria rispetto ai drammi che attanagliano senz’altro alcune aree del mondo, sebbene questa recente invenzione partorita dalla UE sia piuttosto odiata dai consumatori, ma l’apparentemente innocua modifica imposta da Bruxelles, pensata per ridurre, (bah!), la dispersione di materiali plastici, ha costretto le ditte produttrici di acque e bibite a rivedere o cambiare del tutto le loro macchine tappatrici, per permettere alle bottiglie di uscire con il tappo attaccato. L’Europa combatta i dazi di Trump senza timore, ma abbia altresì la forza di respingere gli auto-dazi interni. 

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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