È la vigilia del primo Consiglio europeo di questa nuova legislatura. Un Consiglio che si pone come fondamentale nella scelta del prossimo Commissario europeo. Giorgia Meloni, in veste di Presidente del Consiglio italiano e da capo dei conservatori europei, unico leader politico a uscire vittorioso dal verdetto delle urne, è convinta nel difendere le scelte fatte dai cittadini tramite il voto: la crescita della destra è indiscussa e sarebbe ora, dunque, di dare ascolto alla richiesta dei popoli europei. Tuttavia, dalla parte opposta (cioè da sinistra) c’è una certa fretta di arrivare a una decisione: socialisti, liberal e verdi europei sono i veri sconfitti di questa tornata elettorale e appare sempre più complicato riaffermare quella “maggioranza Ursula” che ha resistito fino ad ora. La coalizione di centrosinistra sarebbe risicata, non arriverebbe neppure a 400 voti, sempre col rischio di possibili e probabili franchi tiratori. Il Ppe, d’altronde, ha espresso la chiara volontà di preferire dare ascolto alla crescita della destra piuttosto che cedere a compromesso con i verdi. C’è fretta dunque a sinistra, dove si è capito che più passa il tempo e più diventa difficile riaffermare il suo status quo quarantennale. Le elezioni in Francia si avvicinano e Macron è dato perdente contro Rassemblement National di Le Pen e Jordan Bardella. Anche la maggioranza del tedesco Olaf Scholz si è affievolita notevolmente, riuscendo a contare al momento poco più del 30% dei consensi. La fretta, dunque, è data dall’alto rischio della rottura di quell’asse Parigi-Berlino che gli elettori hanno deciso di voler cambiare.
L’Europa faccia meno e meglio
Giorgia Meloni, nelle sue dichiarazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo di domani, ha però messo subito le cose in chiaro, volendo dare ascolto a quei segnali provenienti, prima ancora che dal voto dei cittadini europei, dalle comunicazioni di tutti i partiti politici: “Tutte le forze politiche in questi mesi – ha dichiarato in Aula – hanno sostenuto la necessità di un cambiamento nelle politiche europee. Nessuno, neanche tra i partiti presenti in quest’Aula, si è presentato agli elettori dicendo che l’Europa andasse bene così, che non c’era nulla che andasse cambiato e che sarebbe stato sufficiente sostanzialmente mantenere lo status quo. Tutti hanno concordato su un punto: l’Europa – ha tuonato in Aula – deve intraprendere una direzione diversa rispetto a quella percorsa finora”. Un cambiamento che si rende necessario, dal momento che si è sempre più manifestata una pericolosa lontananza tra le Istituzioni europee e i cittadini, fino ad arrivare a un indice di gradimento del 45%, in netto calo a quello registrato alcuni decenni fa. Per Giorgia Meloni è dunque lampante che la “disaffezione” del corpo elettorale verso l’Unione europea si è “materializzata anche in un’astensione che non può lasciare indifferente” la classe dirigente europea, “tentata dal nascondere la polvere sotto il tappeto continuando con logiche deludenti”. Un cambiamento che deve avvenire per modificare quell’impianto malsano che si è venuto a creare nel corso del tempo: quello di un’Europa che non riesce a ergersi come potenza internazionale anche e soprattutto perché impegnata a voler controllare ogni aspetto della vita comunitaria. “La percezione che hanno avuto gli italiani e gli europei è di una Unione troppo invasiva”, ha spiegato la premier, aggiungendo che l’Europa, “mentre cerca di normare tutto finendo anche con il rischio di omologare culture, specificità geografiche e sociali, rimane più debole sugli scenari globali, con il risultato di rendersi sempre più vulnerabile agli choc esterni”. Da qui, dunque, la necessità di un’Europa che, tra le sue priorità, abbia quella di “fare meno e meglio”, in virtù del principio di sussidiarietà e di proporzionalità.
Lavorare nell’interesse nazionale
Dopodiché, la leader di Fratelli d’Italia è passata a elencare le prerogative che la nuova Commissione dovrà seguire. A partire dal campo economico, dove è urgente una maggiore cooperazione: “È impensabile – ha detto – che uno Stato membro, persino se si trova nella migliore condizione fiscale, possa affrontare da solo gli investimenti necessari per le grandi sfide che l’Europa ha davanti”. Passando poi per il tema della sburocratizzazione della politica comunitaria: “Bisogna applicare anche in Europa il principio che applichiamo in Italia: non disturbare chi vuole fare”. Per arrivare alla questione migratoria, dove alcune cose, sotto la spinta italiana, sono state fatte negli ultimi mesi, anche se sono “sembrate più l’eccezione che la regola”: difesa dei confini esterni, difesa del diritto a non emigrare, contrastare i trafficanti di esseri umani, perché “non consentiremo alle mafie di gestire gli ingressi in Italia”. Secondo Giorgia Meloni, la “lettera che la presidente della Commissione von der Leyen ha ieri indirizzato ai capi di Stato e di governo va in questa direzione, stabilendo che questo approccio debba rimanere al centro anche delle priorità anche del prossimo ciclo istituzionale”. Così, l’Unione europea può realmente puntare a diventare un pilastro fondamentale della Nato, continuando ad aiutare l’Ucraina, secondo il principio che “pace non significa mai resa”, e rendendosi più attiva in Medio Oriente. Infine, il richiamo della premier all’unità nell’interesse nazionale: “Oggi possiamo contare su una ritrovata stabilità politica e su una solidità economica che ci hanno consentito di scrollarci di dosso i troppi pregiudizi dei quali eravamo vittime. Forti di ciò che siamo e di ciò che l’Italia può ambire ad essere – ha aggiunto –, mi auguro che su questo si possa agire con compattezza e fare gioco di squadra per assicurare che la nostra Nazione sia rappresentata al meglio negli incarichi di vertice dell’Unione europea. Dobbiamo cioè lavorare per vedere riconosciuto ciò che spetta all’Italia come Nazione: non al governo, non a questo o a quel partito, ma alla Nazione”, ha concluso Meloni, ribadendo la volontà di non “far cadere nel vuoto” la decisione che i cittadini italiani ed europei hanno preso dietro le urne.