Un maestro per la destra moderna.

di Fabio Rampelli

Teodoro Buontempo è stato un po’ il mio maestro, sempre dalla parte dei più deboli, sempre pronto a sfidare la piazza, la strada, la borgata, le fabbriche, sempre alfiere delle più grandi battaglie per la giustizia sociale e per l’ambiente. Era amato anche nei salotti buoni, li frequentava e gli volevano un bene dell’anima per la sua schiettezza e umanità, ma non si è mai fatto condizionare da nessuno.

Questa è stata la sua forza, questo il suo messaggio: parlare con tutti e guidare le cause degli ultimi, difendere i più fragili, lottare per salvaguardare la natura è il paesaggio che, da buon abruzzese di Carunchio, adorava. Fu primo Direttore Responsabile della rivista Per Fare Più Verde, fondata da Paolo Colli.

La natura, aggredita dalla speculazione edilizia, lo chiamava in campo e lui non si faceva certo pregare, dedicandogli buona parte delle sue energie. Una forza della natura.

Lo ricordo nella battaglia contro le centrali nucleari, in quella per la difesa del Pratone delle Valli e poi nella monumentale crociata, vinta, per scongiurare i 2 milioni di metri cubi di cemento a Tor Marancia, nel Parco dell’Appia antica. Ma anche su una gru a convincere un abusivo cui stavano abbattendo la casa a non gettarsi nel vuoto.

Ci facevo comizi insieme a Case rosse, San Basilio, La Storta, La Rustica, Romanina, Corviale, Tufello, Spinaceto, Serpentara, Torbellamonaca, Laurentino 38, pezzi di città proibiti alla destra. Ogni tanto veniva giù qualche vaso, ma noi ci si tornava. E poi il mare… Il rapporto con il Lido di Roma, suo collegio elettorale, è stato straordinario. Perché a Teodoro non riusciva mai di fare le cose con freddezza, tanto per parlare o apparire, strumentalizzando e facendo bassa propaganda, lui una battaglia la prendeva per il collo e ci restava sopra fino alla fine.

L’esatto opposto di questi leader biodegradabili che cavalcano l’onda tra una foto e l’altra, esattamente il tempo necessario ad abbandonare una causa. Gli eroi moderni durano poco anche per questo, non perdono la vita in trincea, non vengono fucilati o impiccati, non muoiono perché gli scoppia il cuore d’amore.

Andava in bicicletta sul Lungomare di Ostia (la bici era più alta di lui), dormiva da ragazzo in una Fiat 500, pernottava spesso nella sede del Fronte in Via Sommacampagna e poi in quella della Federazione del Msi in Piazza Cavour.

Il suo partito non credette nella magnifica e avveniristica sfida di Radio Alternativa, lasciando sfumare un’esperienza nella quale ci siamo formati un po’ tutti e nella quale lo affiancò un’altra militante d’eccezione, sua moglie Marina. Partì con un manipolo di seguaci – tra cui Paolo Di Nella – per soccorrere la popolazione irpina colpita duramente dal terremoto. Insieme a lui un altro gigante: Giampiero Rubei, il re del Jazz.

La sua vita è stata un’opera lirica, rimbalzando tra cultura popolare, radicamento e azione sociale.
Che meraviglia, Teodoro, che meraviglia. Uno spazio vitale infinito, un affresco inimitabile.

Tra tanti libri scritti nessuno ha osato comporre la tua storia, ricostruendola casa per casa tra la tanta gente che ti adorava e ti offriva quel grappino di rito che scaldava le tue corde vocali, sempre rigonfie e infiammate. Straccioni, emarginati, professionisti, industriali, ragazzi pieni di voglia di lottare, ma anche giovani che volevano divertirsi ballando. E lui andava a trovare dopo mezzanotte e ballava con loro. Tutti per Teo.

Nel campo della politologia si scrivono libri sui leader, sugli intellettuali puri, più o meno potrebbe dirsi che se la suonano e se la cantano fra loro.

Perché ci sono libri scritti con l’inchiostro e libri scritti col sangue, impataccati, con le pagine sgualcite, le foto strappate, gli scarabocchi sopra. Sono i libri che non possono essere dati alle fiamme, che nessuno potrà mai cancellare.

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