Per Paolo Mieli è «indecente». Giulio Tremonti lo definisce un «mostro giuridico». E il giudizio di Giorgia Meloni è senza appello: «Delegittimato». Cambiano ruoli e punto di osservazione ma il giudizio sull’attendibilità dell’attuale maggioranza giallo-rossa, come questa cioè possa rappresentare in pieno il mandato popolare, non cambia.
L’indicazione del referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, convocato per il 29 marzo, unita al risultato proveniente dalle Regionali in Emilia-Romagna e in Calabria hanno evidenziato in maniera plastica la surreale eventualità che sia proprio il MoVimento 5 Stelle – solo formalmente, ormai, partito di maggioranza in Parlamento, in realtà evaporato nei territori – ad avere la golden share sull’indicazione del prossimo presidente della Repubblica.
Con un Pd, aggiungiamo, relegato a festeggiare come una “finale” la vittoria – tutt’altro che roboante – nella rossa Emilia dopo aver perso in un anno 8 regioni, tutte governate fino alla vigilia dalla sinistra.
Eppure, almeno ad ascoltare le dichiarazioni surreali di Giuseppe Conte, che ha parlato di governo «rafforzato» dopo la batosta clamorosa subita dai grillini, c’è chi pensa che – fallita la “spallata” del destra-centro in Emilia-Romagna e complici i tempi tecnici che accompagneranno il post-referendum che taglia le poltrone (tra legge elettorale, nuovo disegno dei collegi) – l’istinto di sopravvivenza e di autoconservazione di chi siede in Parlamento garantirà lunga vita all’esecutivo 5 Stelle-Pd.
Uno scenario disarmante rispetto al quale è arrivato il commento durissimo già la stessa notte dello spoglio elettorale da parte di uno decani dell’informazione italiana come Paolo Mieli: «A me sembra incredibile e poco decente che questo Parlamento elegga il prossimo Capo dello Stato – ha affermato l’ex direttore del Corriere della Sera -.
Se fossi un dirigente politico saggio metterei le premesse perché si possa votare l’anno prossimo».
Una posizione logica e di buon senso – questa che richiede che sia una maggioranza al passo con la domanda popolare ad indicare il prossimo inquilino del Colle – che è stata confermata il giorno dopo da un altro osservatore “laico” ed accreditato come Giulio Tremonti.
Per l’ex ministro dell’Economia «con il taglio dei parlamentari si creerebbe un mostro giuridico». Il punto è chiaro, dato che il risultato del referendum è praticamente scontato: «Non può essere un Parlamento azzoppato a eleggere l’erede di Mattarella solo perché il Pd vuole lo status quo. Servono elezioni immediate».
Due uscite che si aggiungono a ciò che da destra viene ribadito fin dalla nascita del Conte bis, sorto ricordiamo con un ribaltone tra le due forze “perdenti” dopo le Europee di maggio.
Una posizione che Giorgia Meloni ripete come un mantra nei suoi interventi da mesi, indicando proprio nello “spread” evidente tra la maggioranza legale (Pd-5 Stelle) e quella reale (composta dal destra-centro) il dispositivo che dovrebbe portare lo stesso capo dello Stato, Costituzione alla mano, a prendere atto della necessità di sciogliere la legislatura per riequilibrare volontà popolare, rappresentanza e governabilità. «Credo che il Parlamento sia già delegittimato – ha attaccato ieri -: basti pensare che il M5s ha il 40% degli eletti ma è scomparso nel Paese».
Davanti all’evidenza di una maggioranza che farà di tutto per preservare la cabina di comando, la leader di Fratelli d’Italia continua a coltivare dall’altro lato il progetto riformista con il quale modernizzare le istituzioni (e metterle a riparo dalle tentazioni di restaurazione proporzionalista in atto), insistendo sulla necessità che comunque vada sia il popolo ad eleggere il successore di Mattarella: «Presto porteremo avanti la nostra proposta di iniziativa popolare per l’elezione diretta del Capo dello Stato». Resta questo, il presidente degli italiani, l’antidoto per mettere per sempre la parola fine al vergognoso “arco parlamentare” di Pd e 5 Stelle che – non avendo il consenso necessario per impedire alla destra di tornare al governo – pensano di poterlo fare “ad interim” con il diritto del popolo ad esercitare il suo diritto fondamentale: la sovranità.